mercoledì 13 novembre 2013

La stagione del borgo antico




Racconto di Paolo Brondi

Giulia, il suono delle campane pare giungere più greve ora che il buio s’accampa precoce sull’ultima chiarità e induce al sospeso parlottio della mente ove il pensiero si scioglie, ormai, tra indefinite attribuzioni. Sembra verità la nostra appartenenza se non a ciò che è assenza, tempo perduto per sempre, per cui recuperare il passato non guarisce affatto, ma ci riconsegna al suo dominio, silente, superato, incontrovertibile.


Ed è la vita che ci incalza, proponendoci la categorica osservanza dei diritti che ha acquisito per il modo in cui si è manifestata. Una vita che spesso ci intristisce, conducendoci per mano su sentieri esplorati e quindi privi di senso e che ci fa parlare suggerendo parole non nostre, rendendoci parlati più che parlanti. Ma forse non è vero nemmeno questo. Forse sto scrivendo stupidaggini, il fatto è che, senza te, sto vivendo tutto un mondo strano, un flusso ininterrotto di scene, di eventi, di personaggi che si agitano in me e, talvolta, orientano le ore del giorno in modo impensato.





Giorni fa ho sentito forte il bisogno di mettermi in macchina, di fare tanti chilometri e mi sono imbattuto, casualmente, nel borgo dove sono nato. La strada che allora mi pareva stretta e colma di polvere bianca, per un tracciato ancora sterrato, ora mi si è presentata pulitissima, lucida, scorrevole e fiancheggiata da graziose ville e sobrie abitazioni. Dal cancello di una villa è uscita una donna: ancora bella nonostante gli anni; mi ha guardato a lungo e poi, di slancio, mi ha abbracciato. Mi ha riconosciuto subito, io faticavo a ricordarla. Non aveva più i capelli biondi di allora, il calore degli occhi di allora, ma pian piano riannodavo le fila di una stagione lontana, adolescenziale e meravigliosa per i primi palpiti del cuore.


Dopo innumerevoli anni di lontananza da quel luogo e di soffocamento delle memorie a esso legate, ecco la stranezza di quell’incontro: di fronte a me stava Giovanna, la donna che, fanciulla, per prima mi aveva aperto all’amore. È stato breve l’incontro, non ci siamo detti tante cose, ma sufficienti a recuperare immagini di noi, di sentimenti dai colori tenui, delicati, sereni e dai modi carezzevoli, di baci fraterni e niente più. Ci siamo salutati con un arrivederci, a presto, quasi prefigurando un desiderio di riconquista di quella dimensione adolescenziale arricchita dalla esperienza e dal realismo di ora.


Ma il gran gelo del tempo trascorso ha subito spento quella flebile fiammella. Resta il presente, con il dolce tepore della memoria di te e con la consolazione di una spiaggia deserta, delle carezze del sole o di quella nebbia che spesso scende lenta sui moti del mare, disegnando in tremule file i voli gentili di stridenti gabbiani.

1 commento:

  1. Delizioso spaccato su un tempo rarefatto,quasi smaterializzato... L'assenza di una donna.... improvvisa e casuale la presenza dell'altra che,prepotente,riemerge dal passato e coglie l'impreparato protagonista di sorpresa...
    Terminologia e lessico raffinati,una dolcezza infinita pervade l'anima,dopo la lettura. Passo semplicemente splendido. Grazie prof.di donarci e regalare queste meraviglie!
    Cristina

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