domenica 9 novembre 2014

Il giardino dei cachi


Racconto di Valeria Giovannini

Ho vissuto in una famiglia infelice che, come tale, non somigliava ad alcun'altra. Infelice per difetto. Per l'assenza di calore. E di colore. Ospiti costanti erano l'ansia e la tensione. Mi sembrava che ogni altra famiglia fosse felice.
Dalla finestra della mia stanza di ragazzina vedevo un muro imponente, oltre il quale si spalancava un giardino immenso, circondato da una lunga fila di abeti. La gioia era oltre quel muro. Lì respiravo l'intenso profumo dei cachi. La presenza leggera di mia nonna. Il giardino era su due livelli: un’enorme distesa d'erba, in basso. E sopra, un giardino d'altri tempi, con la ghiaia sottile e una fontana di porfido rosa.
Osservavo per ore le formiche rosse, intente nelle loro operose attività. Guardavo il cielo, e le nuvole rapide che cambiavano forma, e le fronde degli alberi che danzavano nel vento. Gli alberi erano innumerevoli, di ogni forma e colore. Soprattutto, naturalmente, in autunno, quando la natura dipinge i colori più caldi e variegati. Ho sempre amato gli alberi di caco. Le considero opere d'arte incomparabili. Le foglie ovali color verde scuro. I frutti, splendidi. Un albero di cachi riempie, con la sua potenza espressiva, un campo intero. E poi, il profumo. Unico, immenso.
In quel giardino, immersa nella natura, ero parte del creato. La mia anima, costantemente in tumulto, si placava.
In quel giardino, un giorno, vidi la pubblicità su un giornaletto. Era la pubblicità della famiglia felice, un gruppo di bambolotti sorridenti, in vendita nei negozi di giocattoli di allora. Quanto l'avrei voluta, una mia famiglia felice! Una famiglia, in cui semplicemente essere. Esistere, libera di stare, di sentirmi a casa.
In quel giardino, avevo trovato uno squarcio d'azzurro. E poi, il suono delle campane. La domenica mattina, mi emozionava il loro concerto potente da ogni angolo della città sottostante. Un respiro profondo, per non far scivolare il mio cuore tra le labbra.
Un giorno, mia nonna se ne andò. E con lei, la sua casa e quel giardino. E il profumo dei cachi.
Con il tempo, divenne una casa abbandonata. E io sognavo di abitare di nuovo quel giardino. Mi figuravo di passare lì le mie giornate. La ricreavo nei disegni, fotografie dei miei ricordi e proiezioni dei miei sogni. E poi, il giardino. Immenso, curato, odoroso. Inebriante, arcobaleno di emozioni per tutti i cinque sensi. Una foresta verde oltre la quale non si vedeva nulla, se non il cielo. E il sole. E la luna. E le stelle.
Con il tempo, ho cambiato pelle e casa. Sotto la pelle, sono cambiata io. Ho ritrovato la mia famiglia imperfetta. Il calore che mi era mancato. E i colori che sognavo. Ho ritrovato la mia famiglia, un po' meno infelice. Un po' più consapevole.
Dopo vent'anni, ho rivisto il mio antico giardino. Il tempo ha abbassato l'altezza di quel muro che lo separava. Numerose piante sono state abbattute. La mia foresta è diventata una radura. Sono spuntate nuove abitazioni tutt'attorno, tanti nuovi occhi che hanno portato via la speciale intimità che ricordavo. Tutto è cambiato. Solo i rintocchi delle campane sono rimasti uguali. Nell'udirli, la malinconia mi ha sopraffatta. Ho socchiuso piano gli occhi e, per inesplicabile magia, ero di nuovo in quel giardino. E ho ritrovato i miei sogni di allora. E l'anima gentile e delicata di mia nonna.

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