mercoledì 23 settembre 2015

Tanti modi di dire stupido

di Paolo Brondi

Ennio Flaiano notava che la stupidità aveva fatto, grazie ai mezzi di comunicazione, "progressi enormi", riuscendo a nutrirsi d'altri miti e persino a ridicolizzare il buon senso. In una conferenza tenuta a Vienna nel 1937, Robert Musil distingueva due tipi di stupidità: una "onesta" e l'altra "sostenuta".
La prima è il sintomo d'una mancanza d'intelligenza, la seconda dell'intelligenza che  sanziona il fallimento.
Quella “onesta” è una sorta di domenica del pensiero, una specie di "paese dei balocchi", della logica in cui frammenti di riflessioni errabonde passeggiano tenendosi a braccetto, a volte urtandosi senza residui polemici, altre volte suscitando irragionevoli émpiti di commozione. In quel regno di stupidità spira una brezza lievemente ironica e dubbiosa, si ha la sensazione d'una precarietà essenziale e ci si può trastullare senza colpa con un'ispirazione fugace e distratta.
Al contrario, nel regno della stupidità sostenuta non v'è spazio per il caso, la mente è sempre indaffarata con pensieri che non riguardano la vita dei pensatori medesimi ed è affaticata dall'esercizio continuo d'una intelligenza prevaricatrice e superflua.
"Questa stupidità sostenuta" - scrive Musil - "è la vera malattia della cultura.” Descriverla è impresa quasi senza fine. Essa tocca i valori più alti dello spirito e contribuisce a vivacizzare la vita spirituale, ma soprattutto la rende incostante e sterile. Non v'è pensiero importante che essa non sappia utilizzare, è mobile in tutte le direzioni e può indossare tutte le vesti della verità. Non è una malattia mentale, eppure è la più letale delle malattie dello spirito: è una malattia pericolosa per la vita stessa.

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