venerdì 3 marzo 2017

Una droga, per cervelli stanchi

Il narcisismo personale e la demonizzazione degli altri nascondono la mancanza di un disegno ideale

di Paolo Brondi

Nel ritmo dei modelli che emergono nelle attuali argomentazioni politiche si sperimenta tutt’altro che un’avventura ideale e propositiva, perché le varie intenzionalità non sembrano orientate dal principio dell’armonia, della dialettica, per fondare sintesi organiche e valoriali, ma da  fenomeni di ostentazione del proprio sé, se non dalla individuale aggressività  prepotenza e odio interpersonale.
Il segno che li unisce è un narcisismo che si autoesalta e pretende di far credere che si debba andare in una sola direzione, demonizzando qualsiasi altra, o con piglio retorico, prospettando “magnifiche sorti e progressive”, ben lontani o dalla consapevolezza leopardiana che il mondo andrà sempre in un’altra direzione rispetto alle ricorrenti illusioni di un “secol superbo e sciocco”.
Fra gli scrittori che  meglio hanno saputo porsi come simbolo della negatività di quelle illusioni,  giova qui ricordare Vitaliano Brancati (Pachino, 24 luglio 1907 – Torino, 25 settembre 1954), la cui giovanile adesione al fascismo  viene così ricordata: ”Io so cosa voglia dire il fervore di un giovane intellettuale, tutto impregnato di cultura decadente, per queste formule che promettono nuove forme di vita e nuova materia di poesia. La formula è una droga gratissima ai cervelli stanchi. Io lo so perché ne ho sperimentate le effimere gioie e i potenti veleni sui vent’anni” (Opere, 1947-1954, pp. 347-48).

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