martedì 29 agosto 2017

Non sfuggire a se stessi

Il racconto della vita e la ricerca di sé: un viaggio nel silenzio e nell’ascolto. Bello di per 

di Mariagrazia Passamano *

“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, a ripensarci, è proprio un film rappresentativo dei nostri tempi. È un film senza contenuti. Dove la bellezza regna sovrana. È puro incanto estetico. Non c’è sostanza. È uno scorrere lento di immagini. Poi Roma è sempre Roma e quindi da sola (quasi) capace di far vincere un Oscar. Però, la mia domanda di fondo è: ma cosa voleva raccontare il regista? Lo scopo narrativo del film qual era?
Eppure stiamo parlando di un uomo con un talento incredibile. Se ripensiamo ai suoi primi film, tipo a “Le conseguenze dell’amore”, sembra incredibile che ad un certo punto abbia deciso di inserire il pilota automatico e di affidarsi solo ai suoi virtuosismi estetici. Purtroppo però questa è una cosa molto frequente.
Pagine di libri, messaggi, note su pagine facebook mostrano a volte grande bellezza: sono cose scritte anche molto bene ma che non raccontano niente, senza anima. Da un lato siamo tutti un po’ storditi dalla tirannia delle immagini, dall’altro non siamo più abituati a pensare e a pensarci. Se non siamo a lavoro o in giro a fare shopping, stiamo a casa o con il televisore acceso o con il cellulare in mano a guardare la vita dei vip su instagram o le foto delle vacanze del nostro vicino.
E il tempo per non fare niente dov’è? Abbiamo bisogno di sottrarre. Dobbiamo imparare a togliere, ad asciugare, a rimpadronirci del nostro tempo, di parte di noi. I contenuti non nascono senza il silenzio, senza la capacità di sapersi ascoltare. È attraverso la metabolizzazione degli accadimenti esterni che riusciamo a conoscerci profondamente.
Ciò che ci spaventa è sicuramente il nostro inconscio, quello che sentiremmo nelle pause, nei silenzi, sui monti, in riva al mare. Fromm la definiva “la fuga dalla libertà”. Non ha senso fare il viaggio senza scoprire chi siamo e senza capire di che cosa siamo fatti e cosa possiamo donare di noi al mondo.
Nello sforzo continuo teso alla scoperta di alcune parti di noi celebriamo l’anniversario della nostra nascita e ripetiamo il rituale del venire al mondo. Il nostro dovere reale è quello di salvare i nostri sogni, la nostra essenza, la nostra verità, il nostro desiderio. Dare un senso alla nostra vita significa renderla bella, valorizzarla, impreziosirla, darle una forma, un volto, una consistenza.
La vita infatti di per sé non è né bella né brutta, né giusta e né sbagliata; la vita semplicemente può avere senso o non averne alcuno. Ma imparare ad essere esattamente cosa significa? 
Il problema è che non c’è una regola, non c’è una via, non c’è un ricettario, istruzioni, non vi è neanche la certezza di riuscire davvero ad imparare ad essere se stessi. La vita tutta prende forma nel tentativo, nella lotta, nella non rassegnazione, nel sentiero che ci può condurre verso la realizzazione di questo desiderio.
Non c’è un senso allora dal momento che non si raggiunge mai la nostra essenza? L’errore è proprio questo. L’errore è credere che per essere felici bisogna prendere possesso del nostro essere. La felicità nasce dalla ricerca, dalla fedeltà a se stessi, dal rimanere in ascolto. La disperazione è lontananza dal nostro inconscio, dalla legge del desiderio.

* Scrive sul blog Invent(r)arsi:

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