giovedì 7 settembre 2017

Quando tocca a loro

I difficili perché della sofferenza umana, tra fede e poesia

di Paolo Brondi

Di fronte al dolore non ci si accontenta di spiegazioni razionali, o morali e neppure teologiche: tutte sono inadeguate e finiscono per scoppiare tra le mani. Un problema assai difficoltoso è quello del mettere la straziante sofferenza umana in relazione con l'agire di Dio, o la sua assenza con la presenza del male nel mondo.
Già lo insegnava Epicuro con le parole "Se Dio vuole togliere il male e non può, è allora impotente e quindi non è il vero Dio. Se può e non vuole, allora è a noi ostile. Se vuole e può, come dovrebbe essere proprio di un Dio, perché allora esiste il male e non viene eliminati da lui?”.
Il dilemma attraversa intatto i secoli: l'ammissione dell'esistenza e dell’attività di Dio nella natura e nella storia porta inevitabilmente a ritenerlo ostile e nemico degli uomini specie quando si apre il capitolo della sofferenza innocente.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, nel romanzo I Fratelli Karamàzov, fa dire al fratello Ivan "Se tutti devono soffrire, per comprare con la sofferenza l'armonia eterna, che c’entrano i bambini? E’ del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocchi pure a loro comprare l'armonia con la sofferenza".
Ne La peste, di Albert Camus, forte si leva la voce del medico Riex, mentre la peste dilaga per la città di Orano e muoiono molti bambini: "Non potrò mai credere in un Dio finché vedrò un bambino morire così”.
Ogni dramma, ogni lacerante dolore sembra escludere di vivere e professare una religione serena se non ci si lasci convincere, oltre che dalla fede, dalle parole del poeta "Sii benedetto mio Dio, che dai la sofferenza come divino rimedio delle nostre impurità" (Charles Baudelaire, Fleurs du mal, 1857). Giova credere che la sofferenza sia la grande pedagogia di Dio?

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