venerdì 19 gennaio 2018

Il crimine non è baby


Delinquenza giovanile e responsabilità degli adulti. Però, le nuove generazioni offrono anche esempi positivi

di Cristina Podestà
(Commento a Baby gang, le chiamano, PL, 15/1/18)
(Intervento di Angelo Perrone)

Dire baby gang sembra quasi una cosa giustificabile e, pertanto, giustificata. Sono delinquenti piccoli o giovani. L'aggettivo baby è troppo affettuoso per gente di tal fatta!
I ragazzini oggi sono senza cuore, aridi testimoni di una società che li vede sempre più protagonisti nel disinteresse per la loro crescita. Sono anime che vivono morendo poiché di frequente, verso di loro, si tengono due atteggiamenti diversi e contrastanti, ma entrambi malati.
O assistiamo ad adolescenti iperprotetti, con la scansione quotidiana della loro vita eseguita dagli adulti (lezioni private di tennis, di musica, di matematica e fisica, lezioni di dizione, incontri con gli amici in bar selezionati, abiti firmati, frequentazioni rigorosamente elitarie); oppure giovani trasandati, allo sbando completo, deprivati socialmente e culturalmente, dei quali nessuno si occupa.
Come possono crescere bene? Che cosa ci aspettiamo da loro? Sul palcoscenico della vita vi arrivano in questo modo: simili a comete brillanti ed infuocate, ma con il ghiaccio dentro.
Si devono pur affermare in qualcosa, dunque scelgono la strada che par loro la più semplice e a portata di mano. 
Cercano un appiglio, la fama, seppur effimera, proveniente da un gesto clamoroso, oppure spasmodicamente si gettano sul denaro che risolverà tutti i problemi, secondo un loro modo diffuso di pensare. Dunque tutto è facile, anche la violenza, tutto è consentito in modo superficiale e scanzonato, senza neanche troppo pensare.
Ci sarebbe da riflettere bene su chi ha le responsabilità di tutto questo o, anche, come poter intervenire e porre un rimedio. Una storia lunga e di difficile comprensione, di cui si parla ormai da tempo: non sembra ci sia soluzione. Non per ora almeno.

(ap) La violenza tra bande giovanili è l’esito inevitabile di una vita trascorsa tra l’eccessiva protezione da parte degli adulti e l’assenza cronica di orientamenti? Certamente esistono responsabilità sociali e politiche per la fragilità e vanità  dell’immaginario collettivo in cui vivono tanti giovani, soprattutto al sud, che non offre un riparo, un sostegno, un’alternativa nella crescita durante gli anni cruciali dell’adolescenza e giovinezza.
Inoltre la scarsa consapevolezza (tanti summit “per capire”) di una patologia che rischia di fare danni devastanti, oltre quelli già provocati, ritarda i tempi non solo di una soluzione ma persino di un efficace tentativo di contrasto alla radice di ciò che rende possibile la sfiducia e il degrado.
Ma anche in questo campo esistono terapie, e inoltre, in via preventiva, dei vaccini. Servono prevenzione e rimedi, robusti e drastici, almeno quanto è richiesto dalla gravità della situazione. Partendo però da un’altra consapevolezza ugualmente fondata e radicata: che il pessimismo non solo non ci è utile, ma nemmeno può essere la chiave di lettura di tutte le dinamiche attuali.
Molte cose non vanno, però non è giusto generalizzare. Accanto a tanti sciagurati irresponsabili tra i genitori (che picchiano gli insegnanti), tra gli insegnanti (che trescano con le alunne), ci sono adulti, in ogni campo, che, magari silenziosamente, sanno fare il loro dovere, e svolgono un ruolo di esempio e di trasmissione di valori presso le nuove generazioni.
E i nostri centri urbani non sono abitati soltanto da gang, giovanili o no, che scorrazzano per le strade aggredendo gli inermi. I giovani sanno offrire anche altro, già lo stanno facendo, con diligenza e coraggio. Devono solo essere posti nelle condizioni migliori per riuscirci. Onestamente e fermamente.

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