martedì 10 settembre 2019

Allunaggi

Nel solco dei celebri versi leopardiani dedicati alla luna, domande legate al presente, reso problematico da tanti cambiamenti sociali

di Bianca Mannu

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai
silenziosa luna?
Così t’appellò – notturno –
il pastore solitario
che sé e non altri pasceva – guardando alto –
di dormienti gemme e biade
di dottrine e sogno
innalzando per te
a se medesimo quesiti
che anche intuissero
i venturosi famigli prossimi e venturi.
Tacesti intendendo - come credeva Brahe - eterea luna?
O tacque tua natura di sasso in omaggio a Galileo
lasciando il peso dell’alea
al conscio querelante?
E insistendo retorico pareva
mentre  per contro infilava felpata
forse una – una sola inquieta – equivoca riposta
leggiadramente tirando
il rigo della somma.
Vergine e muta viaggiasti dopo
e ancora per cent’anni –
celeste amuleto di menestrelli e amanti.
Bigotto - l’uomo del fare
teneva avidi a terra gli occhi
e dalla terra chiedeva promozioni a Dio
corrispettive al tasso attrattivo dei profitti.
La “meglio gioventù” einsteiniana
mentre scontava a “sbalzi di coscienza”
la sua combutta coi corpi militari
di telescopi i non più limpidi occhi armata
da lontano – quasi tu fossi nuova –
i  tuoi moti spiava computando
ogni tua sostanza  e stato di natura.
Appuntati al bavero dei leaders
in guisa di emblemi rilucenti
apparvero i dotti resoconti
e tu forzata a scendere
la scala verticale dei chilometri
paresti facile …
Facile … e anche un po’ ruffiana
tra due esosi e muniti contendenti
cui facesti da posta per l’esclusivo primato di ciascuno
e al momento da “donna dello specchio”
per conto della Terra intera
tratta nel gioco in pallida figura
e franta in maschere turbate
sulla bisca più spettrale e turpe.
Concitati deliri di vittoria sul proscenio
officiati da aedi consacrati
tornano morti sugli schermi:
piccoli umani si contesero i troni dell’Olimpo
perché tu nel volto e sulla nuca denudata
le umane – ben difese – zampate ricevesti
e quelle umanamente disumanate
di efficienti insetti di metallo
come eruttati da incubi creativi …
Ma tu- luna violata – ancora danzi lassù
 la curva geometria
del tuo riverbero discreto
tenendo in non cale
l’enfatico “sciorino” di icone scolorite
offerte alla memoria corrosa delle genti
coinvolte in trame troppo prossime – acremente.
Il solito ometto in cima alla sua corte
oggi nutre con piglio onnipotente
una certa voglia di rimessa
che monta sorda oltre i “droni” del momento:
assemblare un profittevole percorso d’allunaggio
per bizzarri turisti  danarosi
e forse – perché no? – un lunavìa
per spedire lassù a costi – chi sa? - finalmente contenuti
frazioni d’accumulo “umano troppo umano”
delle più sviluppate e scomode nequizie
che pur lente fermentano minacce
alle morbide terga dei potenti.
Gioca buono per me funambola pensosa
l’inospite tuo contesto del momento – luna celeste.
Potrà cantare “Blu moon” chi vivendo
vellicherà il tuo distrutto mito
e godrà del tuo gratuito argento
sul mare e sulle pur mutate cose.
Per sottili quesiti leopardiani
non sarai forse più
 – come leggiadramente fosti - l’eletto grembo.
Ma l’uomo - con o senza la maiuscola –
continuerà per qualche minuto siderale
ad affiorare dalla sua babele tecnologica
per interrogarsi sul senso - esagitato o compiaciuto -
del suo assurdo momento
al cospetto dell’impenetrabile grandezza
che contenendolo lo ignora.

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