Sezione distaccata di Pontedera del Tribunale di Pisa (foto Franco Silvi) |
Stanze strapiene di fascicoli, ma il cumulo a volte si
disperde miracolosamente in locali
che diventano, da un giorno all’altro, più ampi solo per l’esodo del personale:
chi va in pensione non viene più sostituito. Sono apparse, solo per brevi
periodi, alcune stagiste (senza
stipendio), venute “per imparare”. Il Comune ha messo a disposizione, con buona
volontà, una sua dipendente part time.
Oggi, però, è ormai lontano l’eco delle lamentele che in
passato animarono alcune assemblee indette dall’ordine forense, con la
partecipazione di rappresentanti comunali e di magistrati, per denunciare lo
stato di “abbandono” della sezione, priva di magistrati titolari e sottoposta
alla rotazione dei giudici di Pisa. Allora, la giustizia, già affannata di suo,
arrancava ancor di più in questa periferica cittadina.
Ora, i corridoi della sezione sono stracolmi di persone,
tutti i giorni si celebrano udienze civili e penali sino a tarda ora,
l’assegnazione in maniera stabile di diversi magistrati ha permesso di
modificare la situazione del passato. Il numero dei fascicoli pendenti è di
tutto rispetto anche nei confronti della sede centrale: nel penale, la sezione
tratta un numero di fascicoli pari a due terzi di quelli pendenti a Pisa. I
processi hanno tempi di trattazione piuttosto veloci. Sono all’ordine del
giorno questioni delicate, in materia di sicurezza sul lavoro, di tutela
dell’ambiente e del territorio, di garanzie per le persone. Gli adempimenti di
cancelleria sono svolti con solerzia ed attenzione.
Aula di udienza penale a Pontedera (foto FS) |
I giorni di lavoro trascorrono in modo intenso, ma non
mancano episodi sorprendenti da ricordare, piccoli frammenti di vita
lavorativa.
Francesco, funzionario di cancelleria, sottopose una volta
al giudice penale una questione, e, vedendolo molto indaffarato, si offrì di
preparargli la minuta del provvedimento: il testo predisposto fu inappuntabile,
nulla era da modificare.
Donatella, che assisteva il giudice in un’udienza fiume,
protrattasi – come spesso accade - dalla mattina alla sera, quella volta, dopo
10 ore continuative di lavoro, vedendo la situazione, non si lamentò e disse
sottovoce al giudice che, nonostante la stanchezza, se ci fossero stati ancora
altri testimoni presenti da sentire, non c’erano problemi.
Simonetta, assistente giudiziario, una volta rifiutò
cortesemente il gesto di un avvocato che, altrettanto cortesemente, aveva
predisposto le copie di un atto da notificare, ben conoscendo la scarsezza di
carta in ufficio. Lo fece – disse
garbatamente - perché avrebbe avuto difficoltà ad attestare la “copia
conforme” di atti non copiati personalmente da lei stessa.
La stessa Donatella è l’assistente giudiziario che
rifornisce tutti di “carta usata”, la recupera nei vari uffici e la
redistribuisce. Non si tratta di
fogli di “carta riciclata”, prodotta da cellulosa già utilizzata, ma proprio di
fogli precedentemente usati su un lato che poi vengono usati sull’altro, quando
proprio non si tratta di stampare provvedimenti originali, allorchè serve la
carta nuova. Anche la carta usata è preziosa, e la signora è molto corteggiata.
A volte, entra nella stanza del giudice con un pacco di carta usata “di quella
buona”, come dice lei, cioè usata ma più decente dell’altra, e gliela porge
compiaciuta, come se fosse un regalo particolare.
Paola, assistente giudiziario, una volta si preoccupò di
avvertire il giudice prima dell’udienza che una signora, citata come parte
offesa, aveva timore di presentarsi in aula per paura del marito, inquisito di
violenze nei suoi confronti. Fu sufficiente raccomandare alla sorveglianza di
prestare particolare attenzione, per fronteggiare la cosa. Poi però
l’assistente si prese la briga di accompagnare quella signora verso un’uscita
secondaria del palazzo per evitarle inopportuni incontri.
Banco del giudice a Pontedera (foto FS) |
Carla, un giovane magistrato onorario in servizio a
Pontedera, partecipando ad un convegno fiorentino, si avventurò in una dotta
questione giuridica citando le divergenti interpretazioni in materia, sino a
che non sembrò aver imboccato finalmente la strada giusta per concludere,
annunciando la soluzione del caso con le parole “noi, a Pontedera..”. Lo disse
con tenerezza e con orgoglio, come se avesse detto: “noi, a Roma presso la
Corte di Cassazione..”
Riccardo, il telefonista non vedente, si trovò una volta
fuori della sua stanza, fermo nel corridoio. Un signore gli chiese
un’informazione, e lui senza perdersi d’animo si prodigò, non solo a parole ma
a gesti eloquenti, con le mani e lo sguardo, per indicare la stanza nella quale
quel tale sarebbe dovuto andare: il tizio ringraziò, non rendendosi minimamente
conto che Riccardo gli aveva dato quelle indicazioni senza vedere.
Sempre Donatella, dopo un’eccezione della difesa su una
notifica, fu chiamata dal giudice
ad aiutarlo a cercare, dentro molti faldoni, quell’atto mancante: si divisero
il lavoro. Lei si mise a cercarlo, e lo fece con rapidità e competenza,
saltando gli atti irrilevanti, sfogliando le carte con consumata intelligenza.
Rosa, funzionario di cancelleria, alla quale il giudice una
volta manifestò il suo apprezzamento per la diligenza e l’impegno mostrati dal
personale, disse semplicemente che lì ci si sentiva “come una famiglia”, essere
in pochi faceva sentire l’ufficio come “cosa propria” e il lavoro come un
“fatto personale”.
Quando la giornata di lavoro termina, l’ultimo saluto al
giudice – spesso rimasto solo nell’ufficio – è quello che gli rivolgono le
signore addette alla pulizia del palazzo: erano abituate a canticchiare in un
palazzo deserto, ora sono più accorte e riservate mentre si muovono per le
stanze vuote, forse sanno che qualcuno è ancora presente al lavoro: è bello il
loro saluto cordiale, quando il giudice scende le scale, tra secchi dell’acqua
sporca, spazzoloni per pulire a terra e sacchi della spazzatura.
Pontedera? Potrebbe essere anche un’altra sezione distaccata
del Paese. Potrebbe chiamarsi anche Pescia, o Empoli, o Viareggio, per non
andare lontano. Sarebbe lo stesso.
Quelle ricordate sono persone realmente esistenti, ma i nomi
sono di fantasia. Forse non avrebbero piacere ad essere menzionate per nome,
amano la discrezione, non credono di fare nulla di speciale. Le incontri tutte
insieme solo la mattina presto, a bere il caffè alla macchinetta al centro del
corridoio, poi ognuno al suo posto.
Per loro, e forse per molti, “parcellizzazione della
giustizia, spreco di risorse, inefficienza” sono concetti complicati e oscuri,
forse troppo difficili da comprendere in un piccolo posto di provincia, in cui
più che le parole contano i gesti. Così, tutte quelle persone sono rimaste
sorprese quando un giorno hanno trovato il nome del loro ufficio inserito al
rigo 3, della pagina 3 della Tabella A, art. 1, comma 1, di uno schema di
decreto legislativo che prevede la soppressione della sede.
Piccolo è bello? Forse, di questi tempi, non nuoce
rammentare che, anche nel piccolo, nella periferia del Paese, si trovano competenza,
diligenza, senso di appartenenza. E poi si incontra qualcosa di speciale nelle
persone e nel modo di lavorare. Lo avverti subito, percorrendo quel corridoio
centrale del palazzo. Anche questo è un esempio di buona giustizia, e di buon
vivere civile. E’ bello percepirlo e ti fa stare meglio, dando alla gente
qualche speranza in più. Qualcosa che potrebbe ancora essere utile a questo
paese.
Con piacere leggo e vedo e ci sono; all'interno delle stanze, mentre poso gli occhi sui volti con nome di fantasia ma esistenti. E questo è ciò che l'anima percepisce. Poi c'è la "razionalità della lettura", quando si capisce, si comprende, che ciò che si sta leggendo è cronaca, è necessità di diffondere, è mettere a conoscenza di...Di una buona, valida, situazione, che potrebbe comunque ahimè, soccombere quando meno ci aspetta.
RispondiEliminaMetto così insieme la pancia e la testa della lettura appena fatta; sensibilità e informazione, da inserire nel mio bagaglio personale, mai abbastanza sazio di conoscenza...
Giovanna vannini
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RispondiEliminaCaro Angelo, le persone che citi vivono nei nostri cuori e nei nostri quartieri, sono le persone che, nel danno, nell'errore, cercano giustizia ma anche accoglienza e rispetto, sono quelle che ancora credono che valga la pena "lavorare bene" perchè il cittadino ha diritto al rispetto. Questa vostra realtà è un gioiello di umanità e andrebbe assolutamente salvata perchè la competenza senza questo importante nutrimento viene in gran parte sprecata.. un saluto, Serena Biagini
RispondiEliminaCaro Consigliere,
RispondiEliminaquelle persone di buona volontà, che lei ha citato, meritano il plauso di chi al buon funzionamento della giustizia tiene, e fede nella giustizia ha perché la giustizia è chiamata a tutelare i diritti attraverso il diritto, e sono d'accordo con la sua difesa della Sezione Distaccata di Pontendera, che mi pare difesa di tante altre Sezioni Distaccate o forse di tutte le Sezioni Distaccate, e su questo punto ho avuto modo di dissentire con garbo e in pubblico dalla Ministra Severino, ma questa è un'altra storia.
Con stima. E se permette, anche con empatia.
Salve Dottore, la sua narrazione mi ha veramente toccato; mi ha ricordato come nella Pubblica Ammnistrazione i buoni risultati siano spesso, "troppo spesso", unicamente frutto della buona volontà, dello spirito di abnegazione e di quel "qualcsoa in più" dei pochi. Il Suo racconto mi ha risvegliato "vecchi" ricordi dei quali Lei, caro Dottore,ne è parte.
RispondiEliminaCon immensa stima ed amicizia.