(ap) “Hai paura del buio?” Il titolo del più famoso brano, anno 1997, del gruppo
rock italiano Afterhours diventa addirittura “manifesto per la cultura” e dà
origine ad un festival itinerante che, tra agosto, settembre e ottobre di
quest’anno, a Torino, Roma e Milano, vedrà la partecipazione di moltissimi
artisti di discipline diverse, dalla musica al cinema, dalla danza alla
letteratura, ai fumetti.
L’iniziativa, sponsorizzata da XL, il mensile di Repubblica
dedicato alle arti varie, muove dall’impegno e dall’esperienza di Manuel
Agnelli, leader della band milanese, e ha già avuto pubblici apprezzamenti anche
dalle autorità governative italiane, a cominciare dal ministro della cultura
Bray. L’obiettivo dichiarato è quello di “abbattere i muri e mettere in gioco
diverse discipline per dimostrare come e quanto la cultura sia un settore
fondamentale per la rinascita dell’Italia”.
Ambizioso, irrealizzabile, iperbolico? Forse sì, anzi non proprio.
Difficile, ma poi non tanto, comprendere che l’intento di una cosa del genere
non è il guadagno, la fama, qualche disco o libro in più da vendere, ma decisamente qualcosa d’altro, un’impresa
che in fondo solo degli artisti possono provare a realizzare.
Ecco dunque come
un evento dell’estate a temperatura variabile può diventare una buona notizia,
quando fa propria e diffonde la voglia, che abbiamo, di non stare immobili ad
assistere allo sgretolamento del Paese. Il futuro non è oscuro se un gruppo di
artisti, persino con il favore dei media e l’attenzione della screditata politica, si
pone delle domande per dimostrare come e quanto, mettendo in campo discipline
diverse e giocando alla pari, la cultura sia un settore fondamentale per la
rinascita dell’Italia, e decide di partire dall’organizzazione di un festival
singolare.
Abbiamo tutti paura del buio, anche i grandi, come lascia intendere Mireille d’Allancé nel suo libro più bello, che
racconta per immagini e parole le comuni paure dei piccoli. Capita a chiunque,
impaurito mentre si spegne la luce d’improvviso nella stanza, di accelerare il
passo scendendo le scale, rischiando di cadere a terra facendosi del male.
Ci era sfuggito
forse sinora che la cultura può davvero aiutarci a stare meglio individualmente
e a rappresentarci collettivamente, se si osa fare un passo in più con
coraggio. Se si percepisce che essa in fondo è dovunque, come vogliono dirci
questi artisti con il loro intento di ritrovarsi insieme e di intrecciare le
rispettive esperienze, quando abbiamo voglia di sentirla. Artisti eclettici di
ogni disciplina possono davvero aiutarci a capire che la cultura è nelle
canzoni che ascolti per sbaglio camminando di fretta, nelle note che escono dal
finestrino di una macchina o dalle fessure di una finestra, nei film che ti
capita di vedere una sera d’estate, nella danza che ti avvolge misteriosa da
una pedana provvisoria di una piazza di paese, nel disegno banale di un fumetto
scherzoso, nella conversazione che intraprendi, per caso in strada, con uno
sconosciuto alla fine di una lunga giornata di lavoro. Purché ci sia la volontà
di viverla e gustarla, la cultura.
Allora il futuro,
che sembra sempre più buio, non è più davvero tale, perché basta desiderare di
entrarci dentro per scoprire che i nostri passi incerti e titubanti possono attraversarlo
per tutta la sua profondità e creare una luce insperata. Quella della cultura,
che nasce dove sa e dove vuole, dal basso, per riprendersi la dimensione del
futuro e dargli un’anima nuova, è una prospettiva poco coltivata. Una cultura
così intesa è gioia di ascoltare, di vedere, di vivere e può persino aiutare le persone a reagire a
situazioni critiche, dando loro comunque la lucidità e la consapevolezza per
poter prendere posizione di fronte al malessere. Potrebbe rappresentarci nella
nostra individualità e nel nostro essere comunità, offrirci una interpretazione
di valori, una rinnovata creatività, dandoci la forza per essere finalmente
consapevoli del nostro futuro. Forse solo un inizio, ma sta a ciascuno decidere
se questa piccola cosa possa diventare ancora più grande.
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