di Valeria Giovannini
(con un commento di Angelo Perrone)
Fanciulla, io ti dico
alzati
da quel torpore
della tua vita
abbi il coraggio
di traversare
il fiume dei pensieri
Accendi la fiaccola
che illumina il cammino
verso l'infinito
Prendi la mia mano
abbi il coraggio dell'invisibile
sarà la tua risposta
(ap) «Talità kumi», nella narrazione evangelica, sono
le parole pronunciate da Gesù prima della resurrezione della figlia di Giaro,
il capo della sinagoga, che a lui si era rivolto nella speranza e nella fede. «Fanciulla,
io ti dico, alzati!», le disse allora prendendone la mano priva di vita. Parole
che hanno percorso la storia. Riprese da Fëdor Michajlovič Dostoevskij ne I
fratelli Karamazov, a proposito di una bambina spagnola cinquecentesca, già
deposta nella bara, con in mano un mazzo di rose bianche, prima dell’incontro
con Gesù, e della salvezza. Alzarsi, dopo un lutto, o soltanto dopo una ferita
percepita come inguaribile, un errore severamente giudicato imperdonabile.
Quando c’è una mano tesa, uno sguardo pietoso ed amorevole, che permettono,
contro ogni evidenza, di sgranare gli occhi, pieni di stupore.
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