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lunedì 28 settembre 2015

In viaggio con Khalifah

di Giovanna Vannini

Nonno Enrico quel nipote dalla testa ricciuta e la pelle d’ebano, lo aveva incontrato la prima volta una mattina di maggio all’aeroporto di Pisa, quando la figlia Marta appena scesa dalla scaletta dell’aereo, glielo aveva adagiato fra le braccia. Un fagottino color cioccolato di appena tre chili avvolto nella coperta di cotone bianca fatta all’uncinetto da nonna Cristina, spedita apposta in anticipo in Nigeria, perché il bambino potesse atterrare nella Toscana adottiva, con un pezzetto di famiglia già addosso. 

Khalifah, della tribù Hausa, il suo nome nigeriano, che i nonni faticavano a pronunciare, che Marta aveva voluto mantenergli, a costante richiamo delle sue radici, della sua cultura, della sua terra tanto stupenda quanto braccata dalla miseria, dagli uomini in potere.
A soli cinquant’anni, Enrico era diventato nonno, nel pieno della sua attività d’artigiano dell’argento; a sbalzo e a cesello. Pezzi d’arte le sue creazioni, pezzi unici, che nelle forme di brocche, centrotavola e alzate, avevano decorato le tavole in vista di mezzo mondo. 
“Ni podere di famiglia”, sulle quelle colline che strizzan l’occhio a Firenze e allungano la mano alla Val d’Elsa, Enrico aveva riversato nel tempo i suoi guadagni; incrementando di filari la vigna, curando l’antico uliveto. 
In questo clima di lavoro e passione, era cresciuto Khalifah, con la convinzione che se la mano e il cervello sanno a vicenda ben guidarsi, nulla resta al caso. 
Marta, con la Nigeria un legame profondo, un biglietto aereo sempre “open”, per continuare a portare le sue competenze di agronoma, di enologa, in quel paese poco generoso di raccolti, ma avido di conoscenza, di nuove opportunità. I colleghi sul posto impegnati con lei nel progetto, con affetto reclamavano ad ogni sua rimpatriata, una bottiglia di vino di babbo Enrico.
Una mattina di maggio, aeroporto di Pisa, l’arrivo si è trasformato in partenza. 
E’ un anima lunga ora Khalifah, un giunco ancora in crescita dalla corteccia scura, con le fronde ricce raccolte sulla nuca, e due olive nere come occhi. Dal suo sorriso sempre acceso, spunta una corona di luce. Ancora un lungo viaggio, ancora terra nuova, dall’altra parte del mondo, che a questa nostra sta capovolta. Tra i documenti il suo sapere 110 e lode, da spendersi bene, da poterlo dimostrare. Qui, non c’è posto, qui si può solo ammirarlo sulla carta, compiacersene, e riporlo nel cassetto.

Nonno Enrico si specchia nel volto fiero del nipote e ingoia il malloppo di emozione in agguato.  Nonna Cristina vorrebbe tirar fuori dalla borsa la coperta all’uncinetto del suo arrivo, e come pezzetto di lei consegnargliela. Marta ha tanto di quell’orgoglio materno da distribuire, che quella partenza pare essere solo un fatto di forma. Con la sua sciarpa di pace intorno al collo, Khalifah decolla.

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