di Paolo Brondi
Immagini
antiche, immagini attuali. Come queste: "Gli uomini hanno voluto
rendersi illustri e potenti per posare la loro fortuna su solide fondamenta, e
potere in mezzo all'opulenza condurre una vita pacifica: ambizione vana, perché
la lotta che sostengono per giungere al vertice degli onori, ha reso la strada
piena di pericoli. Spesso raggiungono appena quella vetta che, simile al fulmine,
l'invidia li colpisce e li precipita ignominiosamente nell'orribile Tartaro.."
(Lucrezio, Libro V, VV1120-1128).
Giudizi
che, nell'antico, accolti con fede e fiducia, prefiguravano la sorte di ogni
uomo e ancor più di chi, distinguendosi per un potere che sta sopra tutti,
dovrebbe essere soggetto ad un declino che è un rotolare irreversibile
verso il basso, ove vive il popolo. Una profezia priva di fondamento nei tempi
moderni perché chi sta al potere teme di continuo l'invidia, mediatica, giornalistica,
giudiziaria, così che mai cessa di vigilare sulla propria sicurezza
e di creare opportuno e conveniente riparo ad ogni metamorfosi del proprio
stato.
Eppure l'alto, ove alberga il potere, non può non
avere un destino di caduta, mentre chi sta in basso, nel piano, non può cadere:
il fulmine lucreziano, ancora oggi, incendia le cime e si
esaurisce in pianura. Nel vivere popolare si percepiscono tutte le turbolenze
del potere, provocate da rivoli di crudeltà, sia sublimata (la battuta
pungente, il motto di spirito, l'ipocrisia), sia identificata con la violenza
brutale inflitta ad una città, pur ricca di storia e bellezza, con i miasmi
della monnezza; o, in generale,
con l'efferatezza dei delitti, la ragnatela degli scandali, degli intrighi, dei
perversi, incessanti, patteggiamenti
e di improvvide misure e scelte.
Una
esperienza che, perciò stesso, nutrita di siffatte varietà, conferisce maggior forza e ricchezza al
sapere popolare, così da essere meno ingenuo e mite, ma scaltro e sempre
incline a riguadagnare libertà e rigenerazione.
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