di Cristina Podestà
(Commento a Brondi, La
fragile memoria del nostro tempo, PL 6/3/16)
Avere poca memoria è questione che tormenta gli studenti che
temono di perdere tempo a studiare e credono che, se riuscissero a memorizzare
più in fretta, risparmierebbero parecchie ore di studio. Il loro interesse si limita alle tecniche di memorizzazione per un
fine utilitaristico spicciolo, senza andare oltre e valutare cosa sia, in
realtà, la memoria.
Tendiamo a non allenarla più e ciò, a mio avviso, porta gravi
conseguenze negli esseri umani soprattutto ad una certa età.
Se è vero come è vero che memorizzare è la capacità del cervello
di conservare, assimilare, ritenere, richiamare, ricordare informazioni apprese
con esigenze intime e/o sensoriali, va da sé che non allenandosi più, si
perdono cose preziose. Platone e Aristotele stessi identificarono con la
memoria la conservazione della sensazione che corrispondeva alla reminiscenza
dell'informazione. Ricordare ciò che non è più presente è cosa meravigliosa che
aiuta l'uomo a sopravvivere (come è accaduto, ad esempio, ai prigionieri dei
lager).
La tecnologia ha mandato a morte la memoria, ma non solo; da tempi
lontani è "passato di moda" studiare le tabelline, le poesie, un
brano importante! Ma quali saranno i risultati? Persone sempre più in
difficoltà a ricordare esperienze del passato come maestre di vita, giovani
senza più storia....ma, contemporaneamente, i media ci bombardano di
trasmissioni su come eravamo, sui meravigliosi anni sessanta, sui migliori anni
della nostra storia. Questo atteggiamento contraddittorio risulta fortemente inquietante
proprio per chi ha scarsa esperienza, per chi è giovane e deve crescere
formando la propria persona in un mondo senza più storia, né certezza alcuna ma
in un marasma di ambivalenze dissonanti e discordanti che lo fanno sprofondare
sempre di più nel baratro dell'ignoranza.
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