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venerdì 24 giugno 2016

Nessun uomo è un'isola


No man is an island entire of itself (John Donne, Londra 1572 – 1631)

(ap) Lavoro, studenti, turismo. Ma anche economia, istituzioni e politica. Il rischio di un terremoto coinvolge tutti i settori sociali dopo l’annuncio dell’esito del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Gli stranieri residenti nel paese si interrogano sul loro futuro diventato all’improvviso ancora più precario ed incerto, e le borse europee tremano, registrando crolli storici.
La separazione ha ripercussioni reciproche: non solo sulla Gran Bretagna, sempre più isolata dal resto del modo e priva di quell’area di riferimento che era una volta il Commonwealt, ma anche sui cittadini europei, a cominciare dai più giovani.
Il voto a favore della Brexit ha mostrato un paese spaccato nella sua dimensione territoriale. Nel regno che era un tempo unito, mai uno stato è apparso così disunito e frammentario. Il Galles, la Scozia, l’Irlanda del nord  hanno votato a favore del Remain, del rimanere in Europa, a differenza dell’Inghilterra che si è espressa per il Leave, l’andarsene. Ma al centro di questa, la grande Londra, abitata in maggioranza da immigrati europei e dal ceto politico e economico emergente, si è pronunciato per il legame con il resto del continente, diventando un enclave dissonante rispetto al resto della nazione. Riemergono le spinte indipendentistiche, che ora traggono nuovo anelito dalle opposte visioni sul rapporto con l’Europa.
La spaccatura evidenzia un solco drammatico pure tra le generazioni. La mappa del voto indica una contrapposizione determinata dall’età e dal livello di istruzione. In una tornata di voto che ha visto un’alta affluenza alle urne (oltre il 70%), le generazioni più giovani hanno votato in blocco per rimanere nell’Europa mentre gli anziani si sono pronunciati in maggioranza per l’uscita della Gran Bretagna dall’unione. Così le classi con un livello di istruzione superiore si sono schierate per il Remain in misura più consistente di quelle con uno scarso livello di studi, decisamente favorevoli ad andarsene per la propria strada.
Chiudere il cancello del proprio giardinetto è sembrata a molti la soluzione preferibile per stare al sicuro, per ripararsi dalle intemperie dell’immigrazione senza orizzonte e senza controllo, per proteggersi dalle insidie. Eppure sarebbe ingenuo ridurre il voto ad una vittoria dell’immobilismo sull’innovazione, alla prevalenza delle paure delle vecchie generazioni meno istruite sulle speranze coltivate dai giovani e dalle classi più colte e preparate.. Proprio la generazione giovanile, che si è pronunciata in massa per l’Europa, è quella che ha fatto registrare la più bassa percentuale di partecipazione al voto, segno di inquietudine, di insofferenza e di sconforto, sentimenti non dissimili da quelli che animano gli altri paesi europei a cominciare dall’Italia. Un dato, il pessimismo dei giovani pur disposti a scommettere sul loro futuro, tanto grave quanto quello del disagio economico e sociale che pervade i settori più arretrati e periferici della società.
La decisione inglese suscita malinconia e interroga il futuro di tutti. L’intera Europa, le società civili e le loro istituzioni, non solo la Gran Bretagna, sono fragili nel momento in cui dovrebbero essere più forti. Incapaci di interpretare i conflitti sociali, di leggere i disagi che sconvolgono il secolo, e che mettono in discussione le fondamenta del vivere sociale e la tranquillità dei singoli. Hanno smarrito i valori e i fondamenti culturali di una storia, che, nonostante tutti i dissidi, le guerre e le differenze, rimane comune alle genti di questo continente.
Spesso avulse dalla realtà, le strutture dei governi europei e nazionali sono soggette al vento populista, camuffato da interprete dei problemi, intriso di scetticismo non solo politico, ed esso stesso manifestazione dell’incapacità di offrire soluzioni ragionevoli. Una sconfitta dell’intero continente l’uscita della Gran Bretagna non solo degli inglesi. Che allontana la strada del futuro, l’unica sulla quale scommettere. Quella della speranza di creare ponti e non muri, di stabilire alleanze tra generazioni, di trasmettere saperi e fiducia, di elaborare un progetto per contrastare le diseguaglianze e vincere le paure.

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