di
Marina Zinzani
(Commento
di Angelo Perrone)
(ap) Dedicato a
Marcy Borders e a tutte le vittime dell’11 settembre 2001 a New York. Lei è “la
donna di cenere”, come venne chiamata
dopo essere stata fotografata quel giorno mentre fuggiva dall’Word Trade
Center, coperta appunto di cenere e di detriti. Un’immagine diventata un’icona
di quella tragedia e delle sue conseguenze.
E’ morta nel 2015 di cancro. Suo cugino ha scritto che la malattia si era nascosta in lei da quel giorno. Nessuno sa quante persone abbiano contratto dei tumori dopo aver respirato quelle polveri maledette, tuttavia furono diagnosticati migliaia di casi di cancro tra le vittime dell’esplosione e i volontari che si erano spesi per salvare tante vite umane, il doppio di quelli registrati l’anno prima. Marcy, dopo quel giorno, non era riuscita per molti anni, ad andare avanti con la sua vita: droghe, alcol, tossicodipendenza, disoccupazione. Aveva appena ripreso a vivere, per i suoi figli e per se stessa, quando quella maledetta polvere si è ricordata di lei.
E’ morta nel 2015 di cancro. Suo cugino ha scritto che la malattia si era nascosta in lei da quel giorno. Nessuno sa quante persone abbiano contratto dei tumori dopo aver respirato quelle polveri maledette, tuttavia furono diagnosticati migliaia di casi di cancro tra le vittime dell’esplosione e i volontari che si erano spesi per salvare tante vite umane, il doppio di quelli registrati l’anno prima. Marcy, dopo quel giorno, non era riuscita per molti anni, ad andare avanti con la sua vita: droghe, alcol, tossicodipendenza, disoccupazione. Aveva appena ripreso a vivere, per i suoi figli e per se stessa, quando quella maledetta polvere si è ricordata di lei.
Quando
Marcy andò quel giorno a lavorare, il sole splendeva. Non c’erano nubi, e tutto
il suo mondo era uno scrigno con un sogno realizzato: un lavoro prestigioso in
uno dei posti più affascinanti della città.
Niente
faceva presagire al peggio. Se si fosse fermata presso un indovino, quella
mattina prima di andare al lavoro, questi avrebbe detto qualcosa, ma poi si
sarebbe fermato. Avrebbe scosso la testa, l’indovino, perché non c’erano nel
suo vocabolario parole che potessero esprimere quello che lui aveva percepito.
Se
quel giorno si fosse alzata con una febbre altissima, avrebbe dovuto chiamare
l’ufficio e dire che proprio no, non ce la faceva ad andare. Se quel giorno
persino fosse stata scippata, magari fatta cadere facendosi così male da aver
bisogno di cure mediche, avrebbe dovuto, anche in quel caso, telefonare al
lavoro e dire “no, non posso proprio venire oggi”.
Se
fosse accaduto tutto questo… Bastava un
niente, uno di quegli imprevisti che salvano, quelle cose che all’inizio fanno
rabbia, come perdere un aereo, come disdire all’ultimo momento per l’improvvisa
malattia di un figlio, ecco quegli imprevisti che si trasformano in salvezza.
Quella
mattina era cominciata allo stesso modo di tutte le altre mattine, salutando i
colleghi. Davanti, il panorama, invidiabile. Il centro del mondo. Essere al
centro del mondo.
Quando
accadde, quello che anche ora, dopo quindici anni, è difficile da spiegare,
collocare, fare entrare nei nostri cervelli perché fu difficile fin da subito
inserire dentro immagini, eventi, aerei che andavano dentro i palazzi e la
gente che cadeva, si buttava giù come fossero formiche su un tappeto che si
scuote, quando accadde, Marcy pensò che stava morendo. Aveva davanti la sua
morte, qualche istante prima che accadesse. Le dissero di restare al suo posto,
ma lei non ubbidì, fece le scale in fretta, riuscì ad uscire. Prima che tutto
crollasse. No, non era il giorno della sua morte. Si era sbagliata.
Statua
di donna coperta dalla polvere, sotto la polvere intuire un volto, il colore di
un abito. Così la fotografarono, quel giorno. Le attribuirono il nome di “Dust
lady”.
Non
è stata facile la sua vita, dopo. Avrebbe dovuto esserlo, chi scampa a simili
eventi acquisisce il dono del percepire la bellezza in tanti posti che altri
non vedono, sa che ogni momento della sua vita è prezioso, sa che non va
sprecato. Ogni giorno gli sembra un regalo, poteva non esserci.
Ma
questo non accade a tutti. Non a tutti i sopravvissuti. Da quel giorno Marcy,
la statua di polvere, si era perduta. Era entrata in angoli bui, e se
l’indovino le avesse detto quello che l’aspettava avrebbe interrotto
improvvisamente ogni discorso, non chiedendo neanche denaro, l’avrebbe guardata
e abbassato gli occhi.
La
statua di polvere è morta nel 2015 per un tumore. Probabilmente causato da ciò
che aveva respirato quel giorno.
Vorremmo
dimenticare, sono passati abbastanza anni e quelle immagini sono state
trasmesse migliaia di volte. Ma altre statue di dolore sono state immortalate da
allora, ragnatela triste che ci avviluppa.
New
York sa essere bellissima. Probabilmente l’ha pensato Marcy, qualche volta. Il
tramonto e la vita che si accende di sera, cartolina di un mondo, di persone,
di uomini, donne, bambini, che vanno a Central Park, che trovano piccoli angoli
piacevoli nella routine, amici che si danno appuntamento a un ristorante, che
hanno tante cose da raccontarsi. La vita.
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