Risotto: al nero di seppia è delizioso, però macchia terribilmente. Ci
vuole attenzione, come nella vita
di
Marina Zinzani
Ci
sono delle cose nella vita che si fanno con fatica. Si vorrebbe fare altro:
precisamente non essere lì. Si vorrebbe varcare una porta, respirare aria
fresca e sentirsi liberi.
Una
di queste cose, quelle cose che si farebbe a meno di fare, sono gli ECM. Sono
un medico, e chi è medico, e non solo, sa cosa sono gli ECM. Dei corsi, o
incontri, per tenersi aggiornati su temi sulla mia professione, e poi, dopo
apposito test, mi vengono rilasciati questi ECM. Bisogna farli, bisogna fare
gli ECM. E fra noi medici si dice: a che punto sei con gli ECM? Io non ho
proprio voglia di farli, quest’anno.
Anch’io
devo farli. Devo. Ma vorrei varcare la porta di quel luogo dove si fanno, in
genere un hotel, e uscire un attimo dopo, respirare aria fresca e sentirmi
libero.
C’è
una cosa interessante, in questi incontri. Si mangia. C’è un buffet in genere
interessante, e c’è sempre una calca al tavolo. In realtà credo che il cibo sia
un diversivo alla noia, soprattutto dopo un bel po’ di ore che sento parlare
qualcuno su argomenti non sempre così interessanti per me.
Sono
qui, oggi, in un bell’albergo, e nella sala conferenze si sta tenendo un corso:
cinque ECM, mi daranno. Avevo previsto tutto: la noia, il tema di poco
interesse, ma non avevo previsto questa cosa. Imbarazzante. Mi sono sporcato la
camicia. Perché qualcuno ha pensato di inserire nel buffet del risotto al nero
di seppia, e io ne ho mangiato un po’, e mi è caduto qualche granello sulla camicia
bianca. Conclusione, ho la camicia macchiata, si vede, è a fianco della
cravatta, non posso neanche nasconderla con questa. In effetti non era solo
qualche granello di riso, perché la macchia è grande, si nota, decisamente.
Sono
qui, con le persone che fanno questo ECM, e provo la solita sensazione che
provo da quando ero giovane: i presenti sorridono, sembrano leggeri, si
parlano, sembrano conoscersi tutti. Io resto qui, solo, in un angolo, e li
guardo. Sono un medico riservato direi, timido. Ho più di cinquant’anni e
faccio ancora fatica a sciogliermi con le persone, devono essere sempre loro
che mi vengono incontro e parlano. Ma qui non conosco nessuno, e non so come,
sento, sento gli occhi di qualcuno addosso, una donna prima mi ha guardato, ha
guardato la mia bella chiazza nera sulla camicia bianca, poi mi sembra che
abbia detto qualcosa alla donna vicino a lei, e anche lei si è girata. Cosa
avranno pensato? Quel medico lì non sa neanche mangiare, guarda, si è sporcato
tutta la camicia.
Non
dovevo prendere il risotto al nero di seppia. Ci sono dei cibi a cui è meglio
non avvicinarsi, e la pasta al nero di seppia è terribile. Per prima cosa
macchia i denti. Uno parla, e sembra che abbia carie scure, nere. Sgradevole.
Poi può macchiare i vestiti in un modo imbarazzante, e la macchia non viene via
facilmente. La seppia regala il suo liquido, nero come l’inchiostro, buonissimo,
sì, buonissimo, ma bisogna fare attenzione, avere delle precauzioni. Che a
volte non si prendono.
Con
mia moglie non le ho prese. Mi sono lasciato andare, innamorato e per la prima
volta non diffidente, quasi aperto agli altri. Mia moglie cucinava bene, e uno
dei suoi piatti preferiti era proprio il risotto al nero di seppia. Faceva
soffriggere lo scalogno, metteva le seppioline, il riso, il brodo, il vino, è
il procedimento per fare un risotto, e poi alla fine il nero della seppia. Una
delizia.
Ma
il nero di seppia va preso con precauzione. I danni sono notevoli, sui vestiti.
I danni di mia moglie sono stati ingenti, descrivibili in piccole parole:
separazione, mi dispiace ma per me sei solo un amico ora, ho incontrato un
altro uomo, rivoglio la mia vita.
Il
mondo, dopo un discorso del genere, diventa nero, calano le nubi sul sole e
chissà se ci saranno mai schiarite. Un nero crudele, dopo il nero delizioso del
nero di seppia. Ci si ritrova in una casa vuota, a ricominciare senza più
energie e con il peso di un fallimento che interessa a pochi. Sono uno dei
tanti, in fondo, che si è separato. E lei si è rifatta una vita, e ora sarà
certamente più felice di me.
Sono
buffo, mi sento buffo, con la mia camicia ben macchiata sulla pancia, e
penserei di tornare a casa. Non sopporto più gli ECM, questo genere di incontri
che mi sembrano ore vuote, perse. Ben poco rimane, nella mia mente, di ciò che
ho ascoltato.
“Oddio,
ma sei tu!”
Una
donna mi viene incontro, mi abbraccia con entusiasmo.
“Ma
cosa ci fai qui! Accidenti quanto tempo è passato!”
Ci
mettiamo a parlare, mi viene in mente il suo nome, Maria Carla, e il fatto che
abbiamo avuto un’esperienza comune in uno studio medico, moltissimi anni fa.
Dopo un po’ le dico come mi sono macchiato.
“Certo,
si vede la macchia. Se vuoi ti posso prestare una camicia di mio marito, io
abito qui vicino, sai? Facciamo un salto, tanto qui riprendono fra un’ora.”
Preoccuparsi
di me, della mia camicia… Usciamo, e camminiamo per un po’. Non abita lontano,
e quando entro in casa sua noto i toni caldi e molte piante. Va nell’armadio e
prende una camicia bianca.
“Questa
dovrebbe andarti bene. Aveva la tua taglia.”
C’è
in lei uno sguardo velato di malinconia, nel toccare la camicia. Io la guardo.
Era una buona ragazza, me lo ricordo.
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