Rimorsi,
vergogna, incubi: espressioni diverse del senso di colpa. Da contrastare, per
non essere sopraffatti
di
Sonia Scarpante
(Tratto
dal contributo inserito nel libro Medicina
narrativa, a cura di Marilena Bongiovanni e Pina Travagliante, Angeli
editore, 2017)
Non
sai realmente cosa ti è capitato, provi un senso di vergogna, ti senti sporca,
senti l’odore di quella persona, il respiro, continui a lavarti le parti intime
sperando di svegliarti da quell’incubo, ma non è così, anzi, ti senti colpevole
perché pensi che la colpa di tutto ciò sia tua.
Cerchiamo
di capire e di capirci, nel superamento delle sbiadite immagini del nostro
album autobiografico. Mettiamo a nudo un altro aspetto delicato e complesso
sulle zavorre psicologiche che ci impediscono di vivere appieno e con slancio
il cambiamento: il senso di colpa.
È
un complesso che riguarda tutti, vissuto con timore o con angoscia; è
impalpabile ma ci ruba energia vitale, non ha peso eppure riesce a catalizzare
i nostri pensieri e a incatenarli.
Ci fa sentire colpevoli ingiustamente, ci
mette addosso responsabilità per qualcosa di male che crediamo di aver
commesso; nei casi più gravi ci induce a chiedere o a vivere una punizione
esemplare. Più spesso, nel nostro agire quotidiano, si presenta con una debole
o grave sensazione di rimorso che ci costringe a continue ma superflue
giustificazioni.
Molto
spesso non riusciamo a capirne lo spessore e la portata distruttiva per il
nostro equilibrio o per i cambiamenti che la vita ci richiede in continuazione.
È necessario parlarne, quindi, proprio per evitare d’esserne sopraffatti, per
impedire a questo sentimento di distruggere anche il buono che c’è in noi, così
faticosamente accumulato.
Si
presenta come una fragilità sfuggente, difficile da definire, un quid che
riconosciamo solo quando inizia a paralizzarci nelle azioni che vorremo
intraprendere se una sensazione spiacevole di inadeguatezza non ce lo
impedisse, se il sospetto di far del male a qualcuno, a causa del nostro osare,
non ci reprimesse a tal punto.
Per
questo, diviene imprescindibile parlarne, raccontarcelo, individuarne l’aspetto
che ha per noi a partire dal racconto che ne fanno gli altri: riuscire a
definirlo è indispensabile per tracciarne i confini, limitarne le conseguenze,
ridimensionarlo per gestirlo meglio.
È
vero, si tratta di un senso sfuggente, che si diverte a confonderci, ma basta
imparare a riconoscerlo pubblicamente, a capirne l’origine, e il suo potere
negativo lentamente si sgonfia, i pensieri ci si semplificano ed ecco che la
realtà conflittuale di ieri si fa meno dura da sopportare.
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