Linguacce, sorrisi strafottenti dopo la violenza omicida: i gesti che
mostrano la mancanza di vergogna e del senso di colpa per quanto commesso (*)
(ap)
Lo abbiamo visto tutti in video: ha rischiato il linciaggio, all’uscita dalla
caserma dei CC, il diciassettenne assassino, reo confesso, di Noemi Durini, la
fidanzata di 16 anni, uccisa a Lecce in modo crudele (con pietre? a coltellate?).
La
reazione forte della folla alla vista del giovane assassino non è stata
suscitata semplicemente dall’efferatezza del crimine, dalla possibile
premeditazione e dalla drammaticità dell’intera vicenda in cui erano coinvolti
i due protagonisti e le stesse famiglie di appartenenza.
Sarebbe, questa, una
interpretazione riduttiva e fuorviante dell’atteggiamento della gente, limitata
ad un aspetto parziale della storia, che non ne coglie il significato simbolico.
C’è
stato un fattore scatenante, costituito proprio dal comportamento assunto dal
giovane assassino mentre lasciava la caserma in stato di fermo dopo
l’interrogatorio. Sorrisi alla folla, linguacce, saluti con la mano in modo
irridente e sfacciato; una presa in giro oltraggiosa verso quanto erano là
fuori. E verso il nome stesso di Noemi, che lui naturalmente “amava tanto”. Non era né turbato né scomposto, il ragazzo, anzi
l’atteggiamento aveva toni disgustosamente sprezzanti.
Del
resto, pur ammettendo l’assassinio e facendo ritrovare il corpo della
ragazzina, aveva raccontato una storia sorprendente, riversando sulla stessa
fidanzatina sospetti orribili, accusandola che volesse addirittura sterminare i
propri genitori, che avesse con sé per questo motivo un coltello, lo stesso da
lui usato per ucciderla e martirizzarla (ma non è spiegato perché sia passato
di mano), prima di far sparire il corpo, e mantenerne il segreto per diversi giorni.
Sino all’arrivo dei CC.
Una ricostruzione che sottintende un capovolgimento
delle responsabilità a livello delle cause dell’eccidio e che precede
drammaticamente proprio il successivo comportamento del giovane.
Perché
la folla ha reagito così violentemente? Cosa è apparso tanto disgustoso nell’atteggiamento
dell’assassino? A causare la reazione
della folla, non è bastato il tentativo di rovesciare sulla vittima la
responsabilità diretta o indiretta del crimine (tante volte si è sostenuto in
vicende simili: è stata lei a provocare, era consenziente).
Qui
si è superato un limite estremo e ritenuto invalicabile, che riguarda proprio
il tratto della consapevolezza del delitto commesso. Ovvero la percezione,
straziante e dilaniante, del senso di colpa per quanto commesso. Che avrebbe
suggerito, innanzi tutto, il silenzio, una distanza dal sangue sparso ovunque,
dalle pietre raccolte e dai coltelli maneggiati; infine dallo strazio provocato
a quel giovane corpo.
Se non un inizio, forse impossibile, di ricomposizione
dei frantumi della propria coscienza, almeno una prova che lo sguardo sia
capace di volgersi, pur sconvolto, verso di essa.
Al
contrario quei gesti dell’assassino davanti alla folla indicano che non c’è più
correlazione tra il delitto e il castigo, che il crimine non si accompagna alla
percezione dell’abisso in cui si è sprofondati, e quindi non è espressivo di angoscia
né generatore di senso di colpa. Gli unici sentimenti che possono preludere ad
una salvifica resurrezione.
Il
limite violato non ha consistenza e densità morale. In questa vicenda, il
segnale sconvolgente, che turba la nostra coscienza, è una dissociazione delle
coscienze, in cui si consuma lo smarrimento del senso della legge come
espressione dei limiti morali insuperabili posti all’agire dell’uomo, e ai suoi
istinti. Le pietre insanguinate
rimangono sul nostro cammino.
*
Leggi anche:
L’omicidio di Noemi e quelle
pietre che rimangono tra noi di
Angelo Perrone,
La Voce di New York:
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