Racconto di Vespina Fortuna
Qualche
anno fa, in Sardegna, mi recai ai piedi del Monte Arci, dove un tempo sorgeva
un piccolo villaggio chiamato Zuradili, di cui si hanno notizie certe dai
documenti della Curia di Oristano. Intorno all’anno 1656 Zuradili contava circa
700 abitanti, come risulta dal calcolo delle tasse pagate in quel periodo, ma
un’epidemia di febbre malarica ne uccise 70.
Poiché ogni tentativo di bloccare la malattia fallì, il sindaco chiese ed ottenne dal viceré dell’isola, l’autorizzazione a trasferire i superstiti di Zuradili nella vicina borgata di Marrubiu.
Poiché ogni tentativo di bloccare la malattia fallì, il sindaco chiese ed ottenne dal viceré dell’isola, l’autorizzazione a trasferire i superstiti di Zuradili nella vicina borgata di Marrubiu.
Camminando
fra gli antichi resti di quella cittadina fantasma, fatta di pietre e ruderi
ricoperti di erbacce e sterpi, inciampai su un sasso. Avevo scarpe di tela
leggera e il dolore mi obbligò a chinarmi per massaggiarmi il piede. Cercai di
capire quale fosse stata la pietra che mi avesse ferito, come se scoprendo la
colpevole potessi star meglio e mi accorsi che, sbattendo, l’avevo sollevata e
adesso dondolava. Per evitare che anche altri incorressero nel mio stesso
problema, la estrassi completamente dal terreno e scoprii che sotto non c’era
terra, ma una tavola di legno ormai fradicia. Mi guardai intorno e, trovato un
sasso appuntito, scavai finché non venne via, spezzandosi in più parti. Ben
presto mi accorsi che non si trattava di una semplice asse, bensì di un
contenitore di legno che a sua volta proteggeva un altro contenitore di latta.
All’interno
c’era un quaderno con la foderina nera e le pagine ingiallite, appiccicate
dall’umidità. Qualcuno aveva voluto raccontare la sua storia e donarla a chi
l’avesse trovata. La fortunata ero stata io e per niente al mondo mi sarei
sognata di lasciarla là. Presi il quaderno fra le mani come si tiene il tesoro
più prezioso al mondo, lo infilai nello zaino e tornai a casa. Lasciai che si
asciugasse e, con una pazienza infinita che non so dove abbia preso, iniziai a
trascrivere quel che di buono era rimasto. Non era un semplice quaderno, era un
diario, il diario segreto di Maddalena.
Il diario di Maddalena
Zuradili,
16 agosto 1659
Io
qui ci sono nata e ci vorrei restare fino a vedere i miei figli crescere e con
loro, i figli dei miei figli. Io qui ci vorrei restare anche dopo, nel nostro
piccolo cimitero, vicino a mia nonna, mio fratello e mio padre, ma le cose si
mettono male. Pare che Dio si sia accanito su Zuradili, questo minuscolo
villaggio sconosciuto al resto del mondo. Un buco di posto che conta a malapena
settecento anime, povera gente, perlopiù pastori, agricoltori e carbonai. Qui
non ci sono briganti né cattive persone, perché Deu meu l’hai presa con noialtri?
Zuradili,
2 settembre 1659
Gira
voce che la malattia che ha colpito le prime case, ai piedi del monte Arci, non
sia semplice febbre, ma qualcosa di più grave. Si teme un’epidemia, è per
questo che vogliono farci fare fagotto e lasciare case e ricordi. Ma come
possiamo andarcene da qua? Qui siamo nati. In questo posto ci siamo figurati il
futuro e qui abbiamo terra e lavoro. Don Michele, il prete, che sa leggere bene
e spedito, l’ha detto chiaramente: “Prepariamoci a partire, questa lettera
parla chiaro, dobbiamo allontanarci alla svelta”. Oh, poveri noi! Pare che ci
sfollino a Marrubiu.
Zuradili,
10 ottobre 1659
Ormai
è certo. Gli ammalati sono una settantina, non si può aspettare oltre. Oggi si
preparano carri e bagagli e si ricomincia l’esistenza a Marrubiu.
Marrubiu,
22 ottobre 1659
Questo
posto è brutto, sporco e infestato dai banditi. Il viceré ha ordinato di
bruciare il bosco di S. Anna, dove si rifugiano i briganti per stanarli e
magari bruciarli vivi. Mi faccio il segno della croce e mi pizzico il braccio con la speranza di sapere che sia
solo un brutto sogno e che questo inferno, al mio risveglio, finisca.
Marrubiu,
20 luglio 1660
E’
passato quasi un anno, ma Dio non si è dimenticato ancora di noi. Adesso che i
briganti se ne sono andati, che la febbre contagiosa è rimasta a Zuradili e che
finalmente cominciavamo a stare un po’ tranquilli, sono arrivate le cavallette
a tormentarci. Il comune ha detto che non dovremo pagare le tasse per due anni,
che ricompenseranno con una lira chi raccoglie un cantaro di cavallette e le
porta per sotterrarle in una grande fossa costruita proprio per loro.
Marrubiu,
1 agosto 1660
Qui
a Marrubiu non siamo benvisti noi di Zuradili, dicono che siamo maledetti da
Dio e non portiamo che miseria e flagelli. Ma che colpa ne abbiamo noi? Se non
piove, arrivano le malattie e le cavallette, si sa. Lo dice pure Don Michele,
che ha studiato nelle scuole dei preti e conosce pure il latino e la medicina. Ma vallo a spiegare a
questi ignoranti. Si stava tanto bene a Zuradili, se solo Dio non ci avesse
mandato la febbre malarica.
Marrubiu
17 novembre 1660
Dopo
tanto tempo, ancora non me lo levo dalla mente che ho cambiato paese. Ieri è
nato mio fratello Tore e quando sono andata al comune a dichiarare la sua
nascita, ho detto che era nato a Zuradili. L’impiegato mi ha guardata un po’ di
traverso, si vede che pure lui pensa che siamo maledetti e, senza domandarmi
altro ha scritto “nato a Marrubiu”. Povero Tore, nato a Marrubiu, nemmeno
all’anagrafe sarà di Zuradili!
Marrubiu,
2 novembre 1673
Ieri
sono tornata a Zuradili. Ho portato mio figlio e mio marito a mostrare dove
sono nata. Non c’è più Zuradili. Ci sono solo rovine e case abbandonate coi
tetti sfondati e finestre dai vetri rotti. Mio marito mi ha stretto a sé
vedendo una lacrima che mi scendeva sul viso, il piccolo Marieddu, invece, si è
divertito a correre su quelle macerie che mi facevano sanguinare il cuore.
Siamo tornati indietro mesti, ma non abbiamo detto a nessuno dove eravamo
stati, per non intristire anche gli altri.
Quando
mi sono coricata e sono rimasta finalmente sola coi miei pensieri e gli occhi
chiusi, ho ripensato al mio paese com’era, ma il ricordo si è confuso con le
case diroccate di adesso. Sono nata a Zuradili, un paese che non esiste più,
che non è più segnato neanche nelle carte geografiche. Un giorno lo racconterò
a Marieddu, gli racconterò che sua madre è nata in un posto che esiste solo
nella fantasia, come quello delle fate. Sì, questo gli dirò, che lui è figlio
della fata di Zuradili e che se vorrà vedere quel posto incantato potrà farlo
solo chiudendo gli occhi e sognandolo.
Complimenti, molto bello il racconto e molto bella la scelta delle immagini che lo supportano.
RispondiEliminaLorenzo