I figli, a chi appartengono? Si
dimentica che anche il rapporto con i figli non è una “relazione di possesso”
di Marina
Zinzani
(Commento a La bell’aria del liceo Virgilio di Roma, PL, 19.11.17)
A volte la società dei consumi porta a
considerare gli affetti una proprietà. “E’ mio figlio, andrò dal quel
professore e mi farò sentire.”
Viene l’idea, ascoltando qualche
insegnante, che i genitori si sentano gli unici tutori dei figli, qualsiasi
cosa abbiano fatto, giustificando o minimizzando anche delle forme di violenza.
Certo se un insegnante dice o fa qualcosa di forte, può passare un brutto
quarto d’ora, il giorno dopo ha davanti il genitore che difende strenuamente il
figlio, a prescindere da cosa abbia commesso.
“E’ mio figlio e nessuno lo tocca.” Un
senso del possesso spropositato, che mal si addice all’apertura verso il mondo
che devono avere i figli, con i genitori pronti ad accompagnarli, ma non a
giustificarli in qualsiasi cosa. La giustificazione a priori porta con sé un
tarlo che si manifesterà negli anni, se questo ha in sé una forma di violenza.
Le parole di Khalil Gibran sui figli (“Essi non
provengono da voi, ma attraverso di voi. E sebbene stiano con voi, non vi
appartengono”) sono sempre attuali e illuminanti. Spesso dimenticate.
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