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mercoledì 22 novembre 2017

Il senso del possesso

I figli, a chi appartengono? Si dimentica che anche il rapporto con i figli non è una “relazione di possesso”

di Marina Zinzani
(Commento a La bell’aria del liceo Virgilio di Roma, PL, 19.11.17)

A volte la società dei consumi porta a considerare gli affetti una proprietà. “E’ mio figlio, andrò dal quel professore e mi farò sentire.”
Viene l’idea, ascoltando qualche insegnante, che i genitori si sentano gli unici tutori dei figli, qualsiasi cosa abbiano fatto, giustificando o minimizzando anche delle forme di violenza. Certo se un insegnante dice o fa qualcosa di forte, può passare un brutto quarto d’ora, il giorno dopo ha davanti il genitore che difende strenuamente il figlio, a prescindere da cosa abbia commesso.
“E’ mio figlio e nessuno lo tocca.” Un senso del possesso spropositato, che mal si addice all’apertura verso il mondo che devono avere i figli, con i genitori pronti ad accompagnarli, ma non a giustificarli in qualsiasi cosa. La giustificazione a priori porta con sé un tarlo che si manifesterà negli anni, se questo ha in sé una forma di violenza.
Le parole di Khalil Gibran sui figli (“Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi. E sebbene stiano con voi, non vi appartengono”) sono sempre attuali e illuminanti. Spesso dimenticate.

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