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lunedì 27 novembre 2017

Margherite

di Marina Zinzani
(Tratto da “I racconti dell’acqua”)
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) Una giornata diversa dalle altre, la visita ad un’amica ricoverata in ospedale, una vita a rischio. Anche in famiglia non va meglio, le preoccupazioni di lavoro del marito, quel certo clima distratto a tavola, nonostante gli sforzi per rendere meno pesante il momento. Un po’ di gradevole sollievo con una tavola ben apparecchiata, del buon cibo, e quel mazzo di margherite fresche: esili e fragili fiori, che l’acqua fresca alimenta e sostiene.
L’acqua è il tema ricorrente di questi Racconti. Elemento prezioso, simbolo di energia, di vitalità, del divenire stesso, attraversa la parola scritta come protagonista discreta e misteriosa di storie diverse. Ma che finiscono per dare rilievo proprio a lei, l’acqua, scoprendone le molteplici dimensioni di senso.

Gli ospedali avevano le mura colme d’ansia. La si poteva percepire, l’ansia di chi era entrato, l’ansia dei parenti, l’ansia purtroppo di chi non era più uscito, era un’ansia appesa ai muri, non mitigata da quadri e dal colore giallo tenue delle pareti, era un’ansia condensata che prendeva il respiro di chi entrava e la sentiva, la sentiva.
Percorrere quei corridoi, caldo, faceva già caldo, percorrere in fretta come se si avesse un appuntamento importante, cercare l’ascensore, questo è l’ascensore: i pensieri di Clara erano precipitosi, confusi, inquieti.
Devo sorridere, dirle che tutto andrà bene. Che dal cancro si guarisce, che ci vuole positività, questa è la prima cosa. Questo avrebbe detto alla sua amica Serena, che era ricoverata per un intervento, qualcosa che le avevano trovato all’improvviso, e che doveva sottoporsi poi alle consuete cure. Di chemio.
Fuori, uscire fuori dall’ospedale e respirare. Un mondo, là dentro. Un mondo e lei, Serena, piccola amica dai tempi della scuola, con il suo volto pallido pallido, la voce fioca, ma con un tenue sorriso. Sapeva tutto del suo male, la piccola Serena, e le cure che avrebbe dovuto affrontare. Credeva di farcela, fermamente, lo si vedeva da come ne parlava, era solo un problema un po’ più grave da risolvere, un po’ più difficile del solito, come i temi di matematica che facevano a scuola, e che lei, Serena, era così brava nell’affrontare, anche quello era un tema, richiedeva tempo e forza, certo, ma ce l’avrebbe fatta alla fine. Era Serena che sorrideva a lei. Ce l’avrebbe fatta.
Fuori, essere fuori dall’ospedale e cogliere nell’aria fresca tutto l’ossigeno possibile per dimenticare, per non pensare. Piccola Serena… Le lacrime cadute spontanee, lacrima, lacrima, vai indietro, ce la farà, Serena è forte, ce la farà…
Ci sono momenti in cui si coglie la Verità. Cos’era la Verità? Clara camminava ora, l’ospedale alle spalle, il volto sofferente dell’amica, di un pallore spettrale, dimagrita già così tanto, e un senso nuovo la colse all’improvviso: la vita è breve, è un soffio, respira. Respira, ama, vivi, la Verità è questa.
Era sulla strada per andare al mercato, eppure le sue gambe camminavano senza meta, no, non aveva voglia di mettersi nella bolgia del sabato mattina, confusione e basta. Si fermò, indecisa sul da farsi, e si fermò proprio davanti ad un negozio di fiori. Ce n’erano molto belli in vetrina. Si soffermò a guardarli, con il cuore triste, ma quella bellezza, creata dalla natura e incorniciata da mani sapienti, le diede quasi conforto. Entrò, e dato che c’era un’altra cliente davanti a lei, cominciò a guardare i fiori esposti.
Un bel mazzo di margherite la colpì, fiore semplice ma quel bianco dei petali e il giallo della corolla la riportò per un attimo a ricordi lontani. Quel mazzo decise di comprare.
Andava un po’ meglio, le lacrime si erano ritirate. E ora era nella via verso casa. Passò di fronte ad una pasticceria, e decise di fermarsi. Dieta, dieta, rinunciare, pasticcini che buoni ma sono a dieta, al diavolo tutto questo! Quante cose non fatte, mancate, sprecate, e poi…
A casa decise di fare un buon pranzetto, Enrico, suo marito, sarebbe arrivato da lì a mezz’era e forse riusciva a fare un buon piatto di pasta, magari un’amatriciana, perché no. Un’amatriciana, poi dei pasticcini come dessert, e sul tavolo della cucina, in un grande vaso di cristallo, le margherite. Belle, decisamente belle.
Aveva preso un vaso che non usava mai, regalo del matrimonio che non era quasi mai servito, quando mai si portava a casa dei fiori freschi lei, mai, e neanche suo marito ne aveva mai portato a casa, aveva preso il vaso e l’aveva riempito d’acqua e vi aveva messo, con cura, con grazia, le grandi margherite.  Ecco, era lì il suo posto, nel tavolo della cucina accanto al muro, quello dove pranzavano.
Anche un servizio all’americana nuovo, mai usato, prese dal cassetto. Il pranzo di un sabato in cui apparentemente non c’era nulla da festeggiare, però bisognava farlo, bisognava cogliere quello che di bello la vita offriva, erano sani, avevano una casa, avevano ancora anni davanti, e invece Serena, la sua piccola Serena chissà se ce l’avrebbe fatta… Cacciò indietro le lacrime, ancora una volta, torna indietro, lacrima, torna indietro…
Quando Enrico aprì la porta, aveva il volto preoccupato. La pasta era pronta per essere buttata nell’acqua, e lui, che faceva l’ingegnere, cominciò subito a telefonare a qualcuno, era per lavoro, si capiva. Finita la telefonata, lui chiese cosa ci fosse da mangiare, poi il suo cellulare suonò di nuovo.
Lei poco dopo mise la pasta in tavola e lui iniziò a mangiare, con la mano manovrando ogni tanto il telecomando, ormai c’era il telegiornale. Parlò anche di seccature sul lavoro che gli avevano rovinato la giornata.
Poi lei prese dal frigorifero i pasticcini, e lui ne assaggiò due.
Pranzo finito, silenzio. Enrico andò in sala e si mise sul divano, con il telecomando dell’altra televisione in mano.
Rimase seduta, Clara, seduta a guardare i fiori, le margherite dentro quell’acqua, fissava l’acqua con cui aveva garantito loro la vita per qualche giorno, l’acqua che nutre la vita, l’acqua che rende un fiore vivo, l’acqua  che nutre, linfa, linfa perduta…
“Allora sei andata da Serena?” chiese lui dopo dieci minuti. “Come sta?”
“Deve fare la chemio, adesso” disse lei freddamente.

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