Ci
sembrava di stare su una nuvola ed era immaginazione. Sciolto l’incantesimo e lasciati
gli ormeggi, imparerò a camminare, sono pronta
di
Ilaria Caloisi *
Blatera
il mio cervello effluvi di pensieri ostracizzanti. Che dovrei fare? Forse
negare di avere investito il cielo del tuo etereo mantello blu cobalto?
Non
riesco a muovermi. Sono insabbiata. Null’altra opzione di risposta se non sì.
E
invece no, non può durare.
Il tuo alter ego sa bene che io sono una capriola di caleidoscopico fumo e vorrebbe imbrigliarmi. E tu? Non era bello danzare per aria davanti al focolare? Cavalcare, tra gemiti e lance, tra specchi e scudi, lasciando a terra ologrammi di noi infedelmente giustapposti? Forse è troppo tardi affinché tu non veda la mia fragilità. Ma è così, io non posso scorgere la fine dei colori. L’alternativa non mi piace, sai? Le nostre morose parole si appigliano a stupidi archetipi. Compongono un tedioso catechismo di sterili banalità, che da vere stronze si frappongono all’erompere di trascendenti effusioni e di eretiche verità. E in questo vissuto sottovuoto non ti conosco. Forse un po’.
Il tuo alter ego sa bene che io sono una capriola di caleidoscopico fumo e vorrebbe imbrigliarmi. E tu? Non era bello danzare per aria davanti al focolare? Cavalcare, tra gemiti e lance, tra specchi e scudi, lasciando a terra ologrammi di noi infedelmente giustapposti? Forse è troppo tardi affinché tu non veda la mia fragilità. Ma è così, io non posso scorgere la fine dei colori. L’alternativa non mi piace, sai? Le nostre morose parole si appigliano a stupidi archetipi. Compongono un tedioso catechismo di sterili banalità, che da vere stronze si frappongono all’erompere di trascendenti effusioni e di eretiche verità. E in questo vissuto sottovuoto non ti conosco. Forse un po’.
Cosa
ci sta succedendo? Cos'è quell'ombra che subdolamente sta entrando da uno
spiraglio del mio Eden?
Ogni giorno che passa scorgo minacciosi stralci di
inedita realtà. Ogni minuto che passa la tua presenza è tanto insopportabile
come la tua assenza. E io desidero tornare a sprofondare nel più ameno dei
sogni.
Vattene,
vattene. Me ne vado, me ne vado.
Ma
dimmi tu, dove potrei stare se non qui, con l’unica consolazione di un letto di
rose, rosse come le tue labbra, l’altra notte, tumide d’amore?
La straripante
sincerità dei nostri intimi aneliti ha sempre una grande pietà di noi, mutilati
di un impossibile adesso, e certi di un possibile altrove. E con la pietà noi
ci abbiamo circumnavigato le nostre reciproche comete. Cos’altro poteva salvare
chi come noi, tira fuori il peggio di sé? Rispetto e gratitudine, tu dirai, ormeggio
per le nostre zattere isolate.
Come
poteva altrimenti andare? Lo diciamo sempre che l’onda d‘urto tra le nostre
molecole impazzite ha spodestato la teoria del Big Ben. E sai cos’altro penso?
Che il presente Mefistofele non poté nulla alle nostre anime che in altri corpi
si amarono prima di noi. Veramente e senza imperfezioni. Allora le parole non
parevano così altisonanti e minacciose. E penso anche che genereremo altro
amore. Che ci reincarneremo eternamente e daremo vita ad infiniti bozzoli di magma
celestiale. Genereremo altri universi, moltiplicando la specie e rendendola
umana.
E
oggi vedo che senza di noi Felicità si lascia scorgere, dissolvendosi. A
fatica, resta in sordina nell’ombra degli sguardi e dei patemici singulti da
cui fa capolino.
Voglio
gridare. Gridare che ti odio e mi odio per non battermi il petto e non giungere
in tuo soccorso cercandoti l'essenza. Perché il primo acchitto è per me un
pezzo da carpenteria. Perché "se tu fossi come sembri saresti solo la
copia sbiadita di tanti altri", mi suggerisce Amore. Che paura. E che
cocciuta io a volerti guardar dentro. Scusa se per me tu non sei chi hai scelto
di essere. Se non ho altro a cui aggrapparmi. Ma inviolabile è la tua gabbia. E
io vengo dal mondo delle favole e credo che mi spetti questo ruolo. E chi mi
crederò mai di essere.
Oggi
la croce ha scalzato la delizia. Oggi sei solo un mediano che slealmente mi
addossa del rancore per il proprio ego ferito. Oggi ti chiedo di farmi tornare
una persona qualsiasi. Di restituirmi il mio riguardo e rendermi la mia
identità. Non hai più alcun obbligo verso di me.
Vuoi
sapere come suona "io e te"? Come una doppia affermazione che nega sé
stessa. Perché amo più amo fa odio. E se non lo avessi sentito, sappi che se
qualcuno ti oblitera l'anima fa più male che bene. E impallidiresti a sapere
quanto il bilanciere scompensato dall’amore che non va abbastanza su, fa salire
il suo opposto speculare per dispetto.
Ora tutto comprendo alla luce di
questo, anche l'incomprensibile. Perché lo strazio giustifica l'azione più
irrazionale, come il non volere le cose che vogliamo. Come ammettere di non
avere più niente da dimostrarci, un’altra guancia da porgere, e restituirti al
mondo. Quanto è doloroso?
Liberami
da questo plumbeo livore, dall'accusa di alto tradimento. Interrompi questa
agonia.
In nome del cielo, scagionami. Lascia queste redini.
Ricordi
quando, nell’aria innocente e tersa del crepuscolo, usavo la metafora della
finestra? Dicevo: “È ancora rotta e sai, il vento freddo e fastidioso continua
ad entrare lasciando appollaiato sul mio davanzale il pentagramma del tuo
cuore. Ti ho mai detto che so leggere la musica? E questo fragore di vetri
rotti? Vai a controllare, potrebbe essere la tua finestra. Chi sarà stato?
Anche tu sai leggere la musica?”.
Ho
paura a convertirti in uno qualsiasi. Ho paura che diventeremo acerrimi nemici,
dato che ora l’amore sembra non bastare più a frenare le timide critiche.
Chissà quali voci doppieranno questa parte.
È un peccato quanto poco ci
conosciamo e quanto millantiamo di conoscerci.
È
un peccato quando ci conosciamo e quanto poco millantiamo di conoscerci.
Ma
ora basta dire e fare per illuderci un po’. Basta fare e dire per non illuderci
troppo. Seguire un misero copione per elemosinare pleonastiche ma appaganti
conferme. Prima di convincermi di essere stati soggiogati nient'altro che da un
surrogato d'amore, alla stregua di marionette vittime di un capriccioso
teatrino per le smanie perverse di chissà quale mangiafuoco.
Ricordi?
Io con te mi sentivo la donna che ho sempre voluto essere. Non vorresti sapere
che ora sono solo la brutta copia di me stessa.
E solo una cosa mi è ben
chiara: che la prossima volta non mi tufferò in un tentatore fiume di
cioccolato, perché è da lì che siamo arrivati ad uno stagno di fango inerte e
svogliato. Che noi pagliacci abbiamo riempito di trucchi e assi nella manica
non richiesti. Di insinuazioni, di attentati alla nostra integrità, di un
continuo disattendere, sfuggendo da noi stessi. Perciò è il caso di smettere
questo abito di scena e vezzeggiare la nostra negletta dignità. Prendersi la
responsabilità di neutralizzarci, annullando le tentazioni dell’odio e
dell’amore.
Una presa di posizione degna di un atto eroico. Ma questo tiro al
bersaglio non è più avvincente, è un ostico gioco a punti e fra poco diventerà
una lotta contro mulini a vento. Tanto stoica quanto insensata ed inerziale.
Io perdo in ogni caso, e mi fiderò di chi dice che non si può desiderare ciò
che non si ha. E annientarti ora è il dolore meno insopportabile. Null’altro ha
un senso e lo capirai anche tu.
E
una languida nostalgia spietatamente irrompe, ripensando alle nostre orme
predilette e romanticamente intersecate su quel batuffolo di zucchero filato.
Così ci immaginavamo di vivere. Sembrava di stare su una nuvola. Io e te, in
pace e al riparo o dal mondo. Ora dobbiamo uscirne ognuno in una direzione, pur
stentando un equilibrio antitetico al buio, prima che i sinistri sparvieri che
vedo all’orizzonte infieriscano rovinosamente su di noi per saziare i loro
bisogni egoistici. Impareremo a camminare.
Adesso
si è fatto tardi, ti chiedo l'ultima cosa. Hai presente non riuscire a
rinunciare a sognare? Beh io sì. E ora sono chiamata proprio a questo. Perché
ora la vertigine che sento non nasconde più la voglia di lanciarsi, ma solo
paura. E io devo andare prima che per me diventi qualcun altro.
Adesso
scaglia su di me una maledizione, sciogli l'incantesimo. Dal canto mio, sto già
bramando l'assenza e adoperandomi affinché la luna oscuri il sole con la sua
ombra.
Non pensavo sarebbe stato così complicato emendare la volta celeste.
Sarà che l'universo ce l'ha con me per averlo maledetto oggi per averti
incontrato. O sarà che non sono preparata ad una vita senza di te. Bel dilemma.
E
mi domando dove sia la mia ricompensa per aver partecipato. Per avere alimentato
questo fuoco. Ora userò i fiammiferi per bruciare il mio e il tuo feticcio.
Le
mie carte sono finite, il gioco deve cambiare.
E
mi ricorderò che inizio e finisco con te. E che io e te significa incandescenti
intrecci di parentesi, audaci asterischi di linfa primordiale. Significa
miracolo. Significa una miracolosa causa persa. No, non è più tempo.
Sono
pronta a questo viaggio interstellare. Abortiscici. Addio amore.
* Ilaria
Caloisi, irrequieta e ribelle sin da piccola, si sente attratta da mondi
lontani e dalle diversità culturali. Ha collaborato con una Ong e lavorato in
Africa. Ama il teatro e si diletta a fare l’attrice. Ma è solo scrivendo che
riesce a dare concretezza ai suoi pensieri e a districare le sensazioni più
nebbiose. La scrittura l’accompagna costantemente, per diletto e per lavoro.
Cosa porterebbe con sé su un’isola deserta? Una penna, appunto.
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