Oltre i rumori della quotidianità, la ricerca del silenzio e di nuove visioni
di Paolo Brondi
E andando nel
sole che abbaglia
sentire con
triste meraviglia
Com'è la vita
e il suo travaglio
in questo
seguitare una muraglia
che ha in
cima cocci aguzzi di bottiglia
(Ossi di Seppia, 1925, Eugenio Montale)
In un succedersi di giorni
in cui la potenza del caos si unisce allo svilimento dell'importanza simbolica
di cose, eventi e figure, è salvifico portarsi oltre il rumore, verso la luce. La
luce che, passata ogni tempesta, dura a lungo sul mare versiliese, il mare che
gioca con il tramonto dilatandosi e restringendosi in queste sue ampie spiagge,
parlotta con i gabbiani in volo e favorisce il silenzio.
Il silenzio che è fonte di
ogni possibile dialogo e si affida ad una attesa che nulla attende, nulla
richiede e proprio per questo riapre alla voce, al “come stai...”. “Che cosa
pensi...”. Non è il mare
di scoglio, palpitante di scaglie, che urla, spumeggia violento ed è metafora
dell’angolosità, del dolore, come già
cantato da Montale.
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