Room in New York, di E. Hopper |
Le storie d’amore
quando finiscono: il passato che rende così difficile il nuovo inizio
di Marina Zinzani
Come
si racconta una storia che finisce? Precarietà, terreno che cede sotto i piedi,
lutto. Le parole che si usano in realtà sono altre, ma il senso che si respira
è questo.
E’
la malinconia che invade, i ricordi piuttosto di essere cosa da ricercare, per
riviverli sorridendo, diventano macigni,
porte che è meglio tenere chiuse. Il passato da non ricordare, il futuro
angoscioso pieno di incognite, il deserto davanti. E il presente che diventa un
quadro di Picasso, il proprio volto sconnesso, stravolto, il proprio mondo
scomposto.
Cosa
si sente alla fine? I figli che restano, presenza che rimane di una storia
d’amore. Questo si dice.
La
donna si sente sfiorire, molto più dell’uomo, infinitamente di più. Donna e
desiderio perduto, quello che non suscita più. Gli anni sul volto, le rughe, il
corpo appesantito. E non si ritrova più nulla della donna che si era, quella
giovane innamorata, quella che camminava a tre passi da terra, che si sentiva
desiderata, cercata, sicura.
Ora,
quando una storia d’amore finisce, soprattutto un po’ avanti nell’età, lo
specchio presenta un volto mutato, a volte senz’anima, anima come qualcosa che
accende, vivifica, entusiasma, vitale. Volto spento e luce che si attenua, si
entra in un cono di penombra.
I
figli. In fondo hai passato anni felici. Poi le cose vanno come vanno, le
storie finiscono. Però rimane un buon rapporto. Però hai amato.
Già,
ho amato, vorresti dire a chi cerca di aiutarti con le parole, con il sostegno,
come può.
La
donna che cade, anche l’uomo che cade, la fatica tremenda di rialzarsi da
terra. Quando il sole riscalda così poco. Quando il sole non riscalda più.
Riscaldava quando c’era l’amore.
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