Ciò che ciascuno non
ha fatto in tempo a vedere
di Marina Zinzani
C’è
un racconto di Ernest Hemingway, “La capitale del mondo”, che rappresenta così
bene la fugacità della vita. Narra di un ragazzo, Paco, che inscena a Madrid
una corrida nella pensione dove lavora come cameriere, lui è il torero, un altro
impersona il toro con una sedia e due coltelli. Che Paco non riuscirà a
scansare.
In
quei giorni è arrivato a Madrid un film di Greta Garbo, tanto atteso, che
alcuni della pensione sono andati a vedere. In quelle ore, e poi minuti, si
consuma la tragedia di Paco, la sua agonia.
Paco
muore pieno di illusioni, scrive Hemingway. Senza perderne nessuna. Senza
sapere che il film della Garbo avrebbe poi deluso tutta Madrid.
La
mente va inevitabilmente alle proprie storie private, pensiero nostalgico che
viaggia. “Non ha visto… non ha potuto vedere…”. Si pensa all’11 settembre,
all’esodo dei migranti, alla caduta del Muro, alle vittorie della squadra del
cuore.
Senza sapere: ha qualcosa di malinconico, a volte positivo e liberatorio, tutto questo.
Senza sapere: ha qualcosa di malinconico, a volte positivo e liberatorio, tutto questo.
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