(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Racconti dedicati alle
emozioni. Basta un attimo e ne siamo colpiti, quasi travolti. Ci vuole tempo
perché mettano radici nel nostro animo e magari diventino sentimenti forti e
duraturi. Trasformandosi però in qualcosa di diverso da ciò che erano
all’origine.
Ma prima, quando sono apparse, le
emozioni ci hanno sorpreso, cogliendoci mentre eravamo intenti a tante altre
cose, non abbiamo avuto il tempo o la voglia di fermarci a riflettere. A
pensare il daffare. Oppure lo abbiamo fatto prendendo decisioni affrettate, sulle
quali siamo tornati tante volte senza riuscire a far pace con esse. Non abbiamo
trovato qualcosa che ci rasserenasse, lenisse l’inquietudine.
A distanza di tempo tornano a
turbarci, ci fanno pensare a quei momenti del passato, tormento, rimorso, e generano dubbi. La memoria ci fa sobbalzare. Oggi
ci comporteremmo allo stesso modo? Non possiamo saperlo. E questo ci fa ancora
più male, forse.
Dopo “Sabrina”, dedicato all’invidia, Ilaria sulla rabbia, e Rosa, incentrato sulla malinconia, ecco il “senso di colpa”.
(Anche
gli uomini hanno segreti, anche le donne, anche i bambini. Chiusi in una
scatola che raramente si apre, i segreti accompagnano il cammino. Silenzioso è
il contorno, accade tutto in una piccola stanza della mente. Ma spesso quella
stanza ha influenzato tutta la vita.)
Che
cosa dovrei dire, del senso di colpa? Mi guardo indietro, i miei anni sono
molti ormai, pesano sulle spalle, appaio un anziano che si può godere
finalmente la pensione, ora ho il tempo, una discreta situazione economica, ed anche
i nipotini, belli i due monelli che mi ritrovo spesso per casa.
Ma
ho un cruccio, io, uomo tutto di un pezzo, io che ho seguito sempre un sentiero
tranquillo, segnato. Arrivano fantasmi ad un certo punto e le immagini si fanno
confuse. Quanti anni avevo allora, venti, ventidue?
L’avevo
conosciuta ad una festa, le feste spesso sono fatte per conoscere gente,
l’amico invita l’altro amico, ci sono delle ragazze, si fa amicizia. Io ero un giovane riservato, molto timido. Non è il massimo essere timidi
da giovani, sembra difficile pensare ad un uomo timido che fa fatica ad
attaccare bottone con una donna, ma ero così. Quando l’ho vista, lei, Aurora,
come l’aurora che illumina la notte, le parole mi si erano fermate, ero imbarazzato.
Poi la tensione si era sciolta ed iniziammo a parlare, e le parole erano
continuate tutta la sera, in una sorta di piacere e di curiosità mai provati
prima.
Forse
è quello l’amore, forse è quello che descrivono nei libri, quelle storie che
fanno battere il cuore alle persone romantiche. Lei, come se avesse un tocco
magico nelle mani, aveva dato una scossa al mio cuore e niente era più stato
come prima. Niente. La vita bella, il sole che riscalda, i prati fioriti, gli
alberi…
Passeggio,
e non sono un uomo felice. Realizzato agli occhi degli altri. Abbastanza
realizzato, dicono tutti che ora non mi manca niente, che posso godermi il
tempo della pensione, fare viaggi, dedicarmi ai nipoti, potrei fare una
crociera, perché non vai in quelle crociere che durano mesi, mi dicono.
Mi
manca lei, ogni tanto. Aurora. L’ho lasciata, ero giovane, e lei aspettava un
figlio da me. Impaurito da un futuro per cui non mi sentivo pronto, gli studi a
metà, la vita ancora da costruire, lei aveva anche una situazione familiare non
semplice… e io, io cosa le ho detto? Non me la sento… non credo che sia il caso
di…
Mio
figlio mai nato oggi avrebbe cinquant’anni, sarebbe sposato, avrebbe dei figli.
Altri nipotini. Nipotini mai nati. Gli uomini sono a volte superficiali, la paura,
il silenzio bloccano i pensieri, le parole non escono e se escono spesso sono quelle
sbagliate, quelle che fanno fuggire le persone.
Era
finito tutto, in pochi giorni. Chiuso. Finita la storia. Lei aveva perduto il
bambino, mi disse. Forse non era andata così. Non lo saprò mai.
Se
avessi avuto coraggio, quello che deve avere un uomo in quei momenti, se avessi
potuto vedere il futuro e quello che mi avrebbe riservato, ecco, le cose
sarebbero state diverse e le mie parole avrebbero cambiato la sua vita, la mia
vita, e non ci saremmo perduti.
Perduti,
perduti, perdersi per un’intera esistenza, rinchiudersi nel matrimonio giusto,
con la donna giusta, un po’ di noia, qualche distrazione, come tanti. Poche
emozioni. Non mi stimo granché, no, i binari consueti e tranquilli non sono
sempre i migliori, la donna arrivata dopo di lei non mi ha reso pienamente
felice. Siamo stati discretamente, certo, ma non ho più provato le sensazioni
di allora.
Delle
sere si ripresenta quel volto, donna velata, fantasma, fantasma anche il
bambino. Il mio senso di colpa è la condanna che il Tempo mi ha dato, non poter
rimediare, e sorridere davanti agli altri, che quasi mi invidiano.
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