Polemiche
sugli esami per l’abilitazione
all’esercizio della professione forense. Al fondo, uno scetticismo sulla loro stessa utilità. La verifica delle
capacità del singolo rientra nel processo di formazione
Esami di Stato al centro di polemiche
(ap
*) Gli esami (anche quelli “di Stato”) non finiscono mai. Non c’è sessione, in
qualunque campo, in cui manchino critiche e polemiche. Da parte di tutti: i
componenti delle commissioni, chiamati a esprimere giudizi su persone mai viste
prima, e i candidati stessi, perplessi sullo svolgimento delle prove, e sul
comportamento degli esaminatori; ovviamente dispiaciuti quando l’esito è infausto.
E’
accaduto per la maturità 2018. Erano stati scelti beni gli argomenti? Hanno
ancora senso i temi di storia? E’ giusto far dipendere la valutazione di un intero
corso di studi dai risultati di un esame? Ed è credibile l’amministrazione statale
quando incappa in infortuni
clamorosi, come nel 2017, quando i temi proposti erano indicati (un errore
materiale, si è detto) con la parola “traccie”, una “i” di troppo, e tanta
ignoranza dentro?
Gli
interrogativi ritornano in qualsiasi prova: da ultimo succede in questi giorni
per gli esami
di Stato per l’abilitazione alla professione forense. Dopo le prove
scritte, ora sono in corso gli orali. Migliaia di domande, tanti compiti da
esaminare, infine lo scoglio dell’orale. Un rito che si ripete ogni anno. In
palio, non un posto di lavoro ma solo l’abilitazione all’esercizio della
professione, la semplice possibilità di fare l’avvocato: lo scoglio più
consistente arriva dopo, quando si tratta di far valere, sul campo, le proprie
qualità e di superare un giudizio ancora più decisivo, quello della clientela e
degli interlocutori.
Come diventare avvocati oggi?
Lo stesso
discorso si ripete anche in altri settori, dove, per esercitare una funzione
pubblica, o svolgere una qualsiasi attività lavorativa, è previsto il superamento
di prove o concorsi. Negli ultimi tempi, è aumentata la percentuale di coloro che
non superano le prove, e fioccano le lamentele.
Un lettore
del Corriere, per esempio, chissà
se direttamente coinvolto, è drastico: lamenta, senza riferimenti concreti, che
i giudizi siano fortemente influenzati dalla “giornata storta” o dall’umore
degli esaminatori, invocando criteri oggettivi di valutazione. In una parola, basta
con l’arbitrio, dipendente dalla volubilità dei singoli. Gli esaminatori quel
giorno hanno digerito male? Litigato con la moglie o la fidanzata? Un pericolo
per i poveri canditati la cui sorte non può essere legata a queste variabili.
Come
rimedio, si propone la sostituzione delle prove con il metodo delle “crocette”,
già adottato negli accessi a tante professioni, esempio di tranquillizzante
oggettività. Un’ennesima prova per test. Così il superamento degli esami non sarà
più un evento aleatorio dipendente dal nervosismo degli esaminatori (qualcuno
si ferma pure a sindacare se il compito, compilato a mano, sia in “bella scrittura”).
A
parte il caso particolare, è bene evidenziare che questo genere di critiche,
assai frequente, sconta uno scetticismo di fondo sulla utilità stessa degli
esami. In discussione è la loro ragion d’essere, non il modo di farli. Sarà la
vita – cioè la prova sul campo - alla fine a dire l’ultima parola. Una
conclusione, forse l’unica, sulla quale il consenso diventa generale. Davvero
l’esame di Stato al termine di un ciclo di studi o in vista di una professione
è un fardello ingiusto, meccanismo mal fatto ed inutile?
Impossibile
rispondere in modo schematico, manifestare certezze granitiche, o respingere al
mittente le critiche facendo leva sul buon esempio offerto in tanti settori. Né
è sufficiente ricordare che l’esame di Stato è un requisito indicato dalla
Costituzione stessa, all’art. 33, per l’abilitazione all’esercizio
professionale. Un principio così importante deve sapersi conquistare legittimazione
ogni volta, nel concreto delle singole esperienze.
Il mito della verifica professionale
affidata alla vita stessa
Si
scontrano visioni romantiche (gli esami come riti di iniziazione alla vita:
nulla sarà più come prima), e giudizi scettici (le prove non selezionano; sono improduttive
perché non aiutano ad inserirsi nel mondo del lavoro): prospettive che
ugualmente non servono ad orientarsi. Perché il principio ispiratore è sempre
lo stesso: rimandare al futuro la verifica decisiva sulle capacità del singolo.
Un
meccanismo di rinvio attraente, ma poco utile. Serve davvero pensarla a questo
modo? Conviene un atteggiamento rinunciatario di fronte alle difficoltà di
organizzazione degli esami?
Rinviare
a domani i problemi che riesce difficile affrontare oggi, ecco il suggerimento.
E’ facile osservare che in questo modo, concentrando tutti gli sforzi nel
futuro, l’impatto con il lavoro rischia di essere ancora più traumatico. Oppure
che la verifica professionale non è un’operazione che possa svolgersi in un
solo momento. Ma non è solo questo.
Forse
alla base bisogna recuperare il valore della formazione personale come impegno permanente
del singolo, dunque non soltanto nel momento in cui avrà la fortuna di trovare
un lavoro, ma durante tutta la vita adulta. E occorre dare rilievo alle tappe –
certo imperfette, migliorabili, magari discutibili – attraverso cui questo
percorso si svolge: riscoprire il senso appunto di prove come gli esami di
Stato, per la semplice ragione che la vita stessa è un insieme di occasioni
nelle quali, anche quando non ce ne accorgiamo, accade di dover rendere conto ad
altri del nostro agire, e delle scelte che compiamo. E siamo sottoposti a
prove, anche difficili e complesse, che dobbiamo imparare ad affrontare.
L’approccio formativo agli esami: la
necessità di “buone pratiche”
Forse
è proprio questa chiave di lettura che aiuta a comprendere meglio la
responsabilità di chi organizza gli esami e di chi li sostiene, ruoli diversi,
con un obiettivo comune: dare valore a queste prove, conferire un senso al
proprio impegno. Immaginare delle “buone pratiche” di lavoro a sostegno delle
prove.
Difficile
dire quanti mal di pancia influiscano sul giudizio delle commissioni, speriamo
che non siano troppo frequenti e che i commissari sappiano prevenirli mangiando
leggero, o con qualche pillola: se ciò avviene, e il giudizio è distorto, la
cosa è deprecabile.
Ma
il rimedio di fondo è la condivisione di un’idea: il ruolo dell’esaminatore
(che non è mai rigido, domani si verrà esaminati da altri) come servizio reso
alla comunità, senza arroganza ma, si direbbe, con umiltà. Perché non si giudica
la persona che si ha di fronte ma la prova che riesce a dare di sé, dei suoi
studi, del suo modo di affrontare i problemi scientifici. E quindi questo ruolo
va esercitato con attenzione, cura dei dettagli, rispetto.
D’altra
parte, se, abbandonando la logica svalutativa degli esami, si ricerca il valore
da dare a ciascun passo compiuto nella vita, si dovrà inevitabilmente
affrontare un’altra questione: quale può essere il contenuto specifico di ogni esame? Lo scopo rispetto al percorso intero? Come dire, qui, cosa può
significare, in campo forense, una valutazione
sull’abilitazione (abilità?) professionale. Un territorio ambiguo e mal
definibile, proprio perché è come essere a metà del guado, non più sulla sponda
universitaria, non ancora sui banchi del tribunale. Non si è più studenti, non
si è ancora professionisti.
Impossibile
però non tentare di attraversarlo, questo campo, sforzandosi, pur con tutte le
approssimazioni e gli errori, di compiere una difficile esplorazione.
L’orizzonte è quello della capacità argomentativa, del raccordo tra campi
diversi del sapere, dell’utilizzazione di un linguaggio corretto e appropriato,
dell’applicazione delle norme alle vicende umane concrete perché i principi non
siano astrazioni concettuali inutili.
I
test saranno anche uno strumento “oggettivo” ma, quale che ne sia la struttura (vero/falso;
risposta unica o multipla), misurano le cognizioni in una dimensione diversa del
sapere. E non danno conto dell’esperienza maturata. Non bastano le crocette,
disposte a ragion veduta o in maniera fortunosa negli appositi quadretti, per documentare
il livello di formazione del soggetto e illustrarne le capacità.
* Membro
di commissione negli esami di Stato 2017-2018 per l’abilitazione alla
professione forense
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