Edward Hopper |
di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Racconti dedicati alle
emozioni. Sono percezioni iniziali, stati d’animo appena avvertiti, sensazioni
sfuggenti. Solo dopo diventano eventualmente sentimenti, convincimenti profondi.
Hanno comunque la forza per influire sulle nostre scelte, cambiando a volta il
destino di una vita.
Nell’insieme, offrono una cornice in cui non sempre è
facile orientarsi, capaci come sono di turbarci anche profondamente. Dopo “Sabrina”, dedicato all’invidia, e Ilaria
sulla “rabbia”, ecco l’emozione della “malinconia”.
(Le
foglie che cadono, secche sono le foglie, sporcate dalla pioggia, pozzanghere.
Il poeta e la sua solitudine, parole come sassi da raccogliere, è duro il
mondo, i sassi poi diventano sculture.
La donna che lavora a maglia, punti per creare, punti che si accompagnano a
pensieri.)
Io
l’avevo detto a mio figlio. Ma i figli non ascoltano i genitori, quasi mai. Le
madri devono stare zitte, non interferire sulle scelte dei figli, ma io
qualcosa avevo detto, e poi me ne sono pentita, d’accordo, però ora, a distanza
di anni, scoprire che avevo ragione mi fa male. Mi rende triste. Volevo non
avere ragione.
Dovevo
stare zitta. Ma mia nuora non mi è mai stata simpatica. Fin dal primo giorno ne
ho notato lo sguardo freddo, un mezzo sorriso accennato con sufficienza, io le
avevo preparato un dolce, l’avevo accolta bene quel giorno in cui è venuta qui
in casa. Ma lei aveva qualcosa di freddo, l’ho capito subito, non era
timidezza, mi sentiva nemica forse, da subito, o forse o, era il suo carattere
e basta. Ho letto che la prima
impressione è quella giusta, che c’è come un sesto senso che ti dice se quella
persona è positiva o negativa.
Poi
arrivano i ragionamenti, ci si colpevolizza quasi, e si mettono parole,
pensieri contorti per annacquare tutto. Invece la prima impressione è quella
giusta, quasi sempre. Mia nuora non mi è piaciuta dal primo momento. Labbra
sottili e occhi glaciali, poco espansiva anche con mio figlio. Era come se
intuissi che sarebbe finita male.
Sono
passati anni e quella impressione è stata proprio giusta, le cose sono finite
male, peggio di così non potevano andare. Mio figlio succube, e poi il
comportamento discutibile di lei quando ha avuto la bambina, isterismo puro,
sindrome post-parto forse, ma no, non credo, faceva fare tutto a lui, lo
comandava, lo umiliava davanti agli altri. Alla fine ha incontrato uno, in
ufficio, ed ha chiesto la separazione. Mio figlio se n’è andato in un
monolocale, la bambina la vede nei giorni prestabiliti e ogni tanto la porta
qui. Questo è tutto. Cosa dovrebbe dire una madre… stare zitta, la sua
intuizione è vista male, un intromettersi fastidioso nella vita dei figli. E’
finita, mio figlio è ancora giovane, può rifarsi una famiglia, mi ha detto la
vicina di casa.
Ho
cominciato questo maglione, sono tornata a lavorare ai ferri. Penso alla
piccola, la mia nipotina deliziosa che stravede per noi nonni, mio marito la
chiama “la mia principessa”. Penso a lei
e ogni tanto mi cade qualche lacrima, non lo faccio vedere a nessuno,
soprattutto a mio figlio che viene spesso a mangiare qui. Siamo in tre, a
tavola, come un tempo. Prima che si sposasse. Mi assale la sensazione delle
cose opache, delle giornate con la nebbia, degli uccellini infreddoliti alla
finestra, mi assale la malinconia di vedere un figlio che torna la sera nel suo
appartamento ed è solo, la solitudine non si vorrebbe per un figlio, la
solitudine e la fine di una storia in cui lui ha così creduto.
Ho
cominciato questa maglia rossa, è un rosso acceso. Mio marito mi ha chiesto per
chi è. E’ per me, gli ho detto, non sono più giovane ma avevo bisogno di
mettermi una cosa colorata, sono stanca del grigio, del nero, del blu, sono
colori che portano un po’ tristezza. Ho iniziato a lavorare a maglia, la
televisione di sottofondo, non mi piace quasi niente della tv ma la guardo,
giusto per avere qualche voce da ascoltare, e piano piano che lavoro mi sembra
di stare meglio, i pensieri sono come gabbiani gracchianti sul mare, non sono
gradevoli, vedo immagini, mio figlio e la ragazza che aveva prima della moglie,
così affettuosa con me, mi portava sempre qualche regalino quando andavano in
vacanza, la fine di quella che era la storia giusta, ne sono sicura, vedo il
giorno del suo matrimonio, il mio cuore era triste, è sempre triste quando un
figlio va via, ma ora so che era triste anche perché sapeva come sarebbe andata
a finire.
Il
lavoro a maglia continua, tutti i giorni un poco, e tutti i giorni i gabbiani
sul mare tornano e mi portano spezzoni della mia vita, mio figlio quando è
nato, le mie difficoltà a crescerlo, mia madre era lontana e io non sapevo come
fare, piangeva tutte le notti. Il suo primo giorno di scuola. Il brutto voto
che non voleva dirmi, avevo capito che c’era qualcosa che non andava. Il
motorino, e la paura che potesse succedere qualcosa, stai attento, gli dicevo
tutte le volte. Il diploma. Non trova lavoro, è dura. Ecco, l’hanno chiamato, è
un buon posto finalmente.
Lei,
quella volta che me lui l’ha presentata. Mai nessun regalo, una pianta per
Natale perché c’era dietro mio figlio che l’ha suggerito. Cattivo rapporto
anche con i suoi. Io sapevo. I gabbiani quando gracchiano sono fastidiosi,
sembrano uccelli così belli ma hanno qualcosa di misterioso. I pensieri vagano,
passato, presente, l’altra sera la bambina era malata e lui non l’ha potuta
vedere, chissà se era vero che era malata, futuro, cosa ne sarà di mio figlio,
vorrei trovasse una donna buona, che si prenda cura di lui.
Malinconia
degli anni, vita che non è quella che si desiderava, i gabbiani se ne vanno. E’
ora di cena, ripongo il lavoro a maglia, riprenderò domani.
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