di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Racconti dedicati alle
emozioni. Prima di radicarsi dentro di noi e assumere qualche spessore, sono
percezioni, stati d’animo, intuizioni. Pur così fragili, sono capaci di
condizionare le nostre scelte di vita. E fare la differenza nei rapporti con
gli altri.
Parlando di sensazioni, si entra in una selva vasta e confusa, dov’è
difficile orientarsi; ci fanno stare bene, oppure ci inquietano nel profondo e
ci allarmano; è complicato imparare a gestirle. Un mondo sicuramente da esplorare
con attenzione e cura. Dopo “Sabrina”,
dedicato all’invidia, ecco l’emozione della “rabbia”.
*
(Le penombre della sera attenuano un poco i colori accesi del giorno, i colori del fuoco che divampa, lo scoppio dell’ira. Le penombre della sera portano pensieri contorti, ho ragione, avevo ragione, la mente si affanna, e piano piano il fuoco si spegne, e rimane un fuocherello che brucia appena. Brucia, come la rabbia covata, tenuta segreta. Sofferenza.)
(Le penombre della sera attenuano un poco i colori accesi del giorno, i colori del fuoco che divampa, lo scoppio dell’ira. Le penombre della sera portano pensieri contorti, ho ragione, avevo ragione, la mente si affanna, e piano piano il fuoco si spegne, e rimane un fuocherello che brucia appena. Brucia, come la rabbia covata, tenuta segreta. Sofferenza.)
Ho
14 anni e frequento delle amiche. Ho la vita che hanno tante ragazze alla mia età,
studio, ho un corso di nuoto due volte a settimana, esco poco la sera, in
genere il pomeriggio.
Credo
di essere diversa dalle altre. Credo di non essere simpatica ad una della mia
classe che fa un po’ da capobranco, e condiziona anche quelle che fino a poco
tempo fa consideravo mie amiche. E’ arrivata lei ed ha cambiato un po’ le cose,
gli equilibri. Ora vivo un’altra realtà, mi invitano poco con loro e quando mi
chiamano mi sento trattata con sufficienza, sento qualche battuta, penso che
parlino male alle mie spalle.
Cosa
ho di diverso da loro? Non lo so. Forse sono brava a scuola, e loro no. Forse
non colleziono ragazzi con la loro leggerezza. Non uso il linguaggio spesso
scurrile che usano loro. Sono diversa. Alla fine mi sento quasi un’emarginata.
Avere
solo 14 anni ed essere outsider, essere fuori luogo. E non ho il modo di farmi
altre amicizie, dovrei, dovrei iscrivermi a qualche altro corso, tentare di
farmi altri giri, ma è tutt’altro che facile.
E’
domenica pomeriggio. Aspetto la telefonata di una di queste amiche, dobbiamo
vederci in centro, fare un giro per i negozi. Non ha ancora chiamato, e sono le
due. Cosa faccio? Mi vesto? Chiamo io? Lei ha detto che mi faceva sapere, che
mi diceva dove si sarebbero trovate.
Io
aspetto. Aspetto mezz’ora e poi la chiamo, mi dico. Quest’amica è diventata un
po’ distante ultimamente, da quando gli equilibri del gruppo sono cambiati, con
l’arrivo della nuova venuta. La leonessa, la chiamo io. Quella a cui non sono
simpatica. E’ prepotente, e anche aggressiva. Vuole avere l’attenzione su di
sé, i ragazzi conosciuti devono avere occhi soprattutto per lei. E’ carina,
alta, magra, però non mi piace quel suo modo scorretto di porsi, mettendo in
cattiva luce le altre. Me soprattutto.
“Lei
è una gran secchiona, sapete che noia!” ha detto una volta di fronte a dei
ragazzi appena conosciuti. E io sono restata zitta, ho abbassato la testa. Loro
mi hanno guardato con disprezzo, credo. Una secchiona, una da cui stare
lontani.
Sono
le tre e la mia amica non si è ancora fatta sentire. A questo punto la chiamo.
“Dovevate
fare qualcosa oggi…” accenno timidamente.
Sono
le uniche amiche che ho, e la mia è quasi un’implorazione per stare con loro…
Lei mi risponde evasivamente, non se ne fa niente, o meglio due di loro devono
vedere due ragazzi e quindi escono sole, lei ha un appuntamento, l’altra va da
sua zia e quindi… niente, non se ne fa niente.
Resto
in casa a guardare la tv. E’ domenica pomeriggio e le ore non passano mai.
Cambio canale continuamente. Non che volessi fare chissà cosa in centro, però mi
piaceva stare in mezzo alla gente, volevo guardare un nuovo negozio…
Il
lunedì mattina porta il peso della settimana a venire, soprattutto se la
domenica l’ho passata in casa, con i miei genitori, in un silenzio attenuato
dalla televisione. Ore lunghe e senso di solitudine. A 14 anni.
Le
vedo in classe, le mie amiche. Quelle che ieri non hanno fanno niente, o quasi.
Parlottano, sono contente, su di giri, mi sembra. Parlano di ragazzi, nomi
nuovi. Quando li hanno conosciuti? Smettono di parlare quando mi avvicino
meglio, ma qualcosa ho sentito.
“Avete
poi fatto qualcosa ieri?” chiedo.
Due
amiche guardano la leonessa. Sguardo d’intesa, scuotono la testa.
Ecco,
si delinea una verità, la sento la verità, arriva su alla coscienza, si sono
trovate, hanno conosciuto dei ragazzi proprio ieri, o no, li avevano già
conosciuti prima, e mi hanno tagliato fuori. Mi hanno tagliato fuori. E’ una
sensazione di avvilimento, di sconforto, e poi esplode la rabbia, brucia la
rabbia, brucia essere lì, frequentare queste persone che mi trattano male, che
non hanno mai avuto simpatia per me, la rabbia che ho tenuto racchiuso tutte le
volte che sentivo una battuta che facevo finta di ignorare, la rabbia di chi si
sente escluso, per fini sottili, per meccanismi oscuri.
Sulla
finestra dell’aula si è posato un uccellino. Lo invidio. Lui è libero. Lui non
ha 14 anni e una vita che non gli piace.
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