Dietro
certi comportamenti pubblici, un’ostentazione di sé. E nessuna idea del futuro
di Paolo Brondi
(Commento a Salvini
e Bonafede: un palco di troppo, PL, 15/1/19)
Nel
ritmo di decadenze e risorgenze di formule e modelli che si snoda nell’attuale,
persistente e voluta campagna elettorale, si sperimenta tutt’altro che
un’avventura ideale e propositiva, poiché le intenzionalità non sembrano orientate
dal principio dell’armonia, della dialettica che diverge per fondare sintesi
organiche e valoriali, ma da una riproposizione di un vitalismo di maniera, da
fenomeni di ostentazione del proprio sé, se non dalla individuale aggressività
e prepotenza.
Il
segno che unisce tali disposizioni è un narcisismo che rifiuta di sottoporsi
all’esame della ragione, che si autoesalta e fa leva su modelli demagogici che
circolano entro le forme della cultura di massa, imponendo la sottomissione
dell’individuo al punto di vista di una élite che cerca coesione e conformismo.
E un
ritmo affetto da carenza di misura del dover essere e determinato dalla
tendenza demagogica a far credere che si debba andare in una sola direzione,
demonizzando qualsiasi altra, o con piglio retorico, prospettando “magnifiche
sorti e progressive”, ben lontani dalla consapevolezza leopardiana che il mondo
andrà sempre in un’altra direzione rispetto alle ricorrenti illusioni di un
“secol superbo e sciocco”.
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