Camporgiano (foto ap) |
Lo smarrimento e l’imbarazzo di fronte a una situazione difficile, poi
la ricerca di qualcosa che dia sollievo
di
Marina Zinzani
Non
essere preparati. Arrivare pur sapendo che più o meno le cose non vanno bene,
che gli anni sono quelli, che i segni della demenza senile ci sono, che forse
le cose possono evolvere al peggio.
Essere
preparati con le parole, consuete in questa occasione, possibilmente
rassicuranti. Arrivare con la vita dietro, la vita fatta di tante piccole cose:
una passeggiata in un parco, il cappuccino e la brioche, le vetrine che
espongono gli ultimi capi alla moda, l’odore di aglio e pomodoro che esce da
certe finestre, all’ora di pranzo.
Arrivare
ed accorgersi che le parole, e il bagaglio portato, quasi di protezione perché
fa parte della propria vita, non bastano, non servono. Perché lei è lì, povera
donna, in una casa di riposo ridotta ad una larva.
La
casa di riposo sembra un albergo tre stelle, potrebbe esserlo anche di quattro,
i colori sono riposanti, tutto è lindo e pulito, nei muri sono appesi dei fogli
in cui si illustrano le attività di cui possono usufruire gli anziani, stralci
di vita che qualcuno ha pensato di
portare dentro, anche per giustificare la retta niente affatto economica.
La
donna, l’anziana, la lontana parente, è assente: sorride, forse capisce,
qualcosa capisce, ma è sulla sedia a rotelle per via di una caduta e data la
sua età è difficilmente operabile, e poi non si capisce bene, si devono sentire
i dottori, le cose vanno per le lunghe. Non c’è più niente di lei nella donna
che era: né il volto pallido né i capelli completamente bianchi e tagliati alla
meglio.
C’era
il mare, una volta. Il mare della Liguria in
una casa che guardava una piazza, in cui la vita si animava, e ogni
passeggiata era un tripudio di profumi e di colori. Le gioie che la Liguria sa
dare. Il mare blu, gli scogli e la schiuma bianca, i gerani alle finestre che
scendevano dai balconi, fiori in mezzo a tanti altri fiori, fiori e sole, sole
e panchine che guardano il mare, mentre i tramonti diventano l’arancione con
qualche barca in lontananza, arancione, bianco, nero.
C’era
una donna bella, un tempo. Molto bella e piena di vita, attenta all’eleganza,
che comunque le veniva naturale. I capelli biondi, curati, la semplicità dei
modi che la faceva sentire sempre gradevole, rilassante come persona. Bellezza,
voce calda, voce rara.
Quella
voce è rimasta. Sembra di riconoscerla solo da questo. Lo scempio del tempo, la
malattia, il lutto in cui vive da anni da quando è morto il marito, le hanno
risparmiato la bellissima voce. E’ ancora la sua. Quella no, non è stata intaccata.
Le
parole non bastano. Quelle conosciute, almeno. Cosa c’è da dire? Quello che
sembra un albergo quattro stelle è un posto dove si viene a morire. Moriranno
tutti, forse entro breve, gli anziani ridotti in modo indecente. Sembrano quasi
spettri.
La
vita è là fuori. Si ha voglia di vita, di andarsene, si spera di non finire mai
così, in un posto simile, di morire in un altro modo. E mentre si guarda, lei
sorride, quasi nel suo mondo dove ogni cosa ha un’altra connotazione. Forse
certe malattie non fanno rendere presenti di cosa accade al proprio corpo,
quasi fosse un’ulteriore dolore risparmiato.
La
vita è altrove. E’ accanto a noi, e non ce ne accorgiamo. I gerani alle
finestre: li guardavamo, io e lei, belli, belli, li devo comprare anch’io,
diceva.
L’uscita
è aria, respiro profondo. No, non si è preparati a certe cose. Le margherite
nei prati ora sembrano diverse, le vedo, sono stupende.
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