Non è la stesa cosa pigiare sulla tastiera di un computer: la differenza
non solo estetica con la scrittura a mano
di
Paolo Brondi
E’
carente oggi il ricorso allo scrittura a mano, ridondante invece è quella della
muscolatura delle dita per pigiare i tasti dei telefonini, del pc, dei tablet
per comporre oggetti digitali, i nuovi testi che sembrano la panacea del sapere
e invece infittiscono l’ignoranza dello scrivere componimenti tradizionali. Chi
percorre fiducioso i nuovi sentieri, e passa dall’analogico al digitale, a poco
a poco, si abitua a un sapere privo di sapore, distolto dal suo stupore.
Di
più, gradatamente perde memoria di una parte consistente della sua storia, le vecchie categorie con cui selezionare le cose da ricordare o da
dimenticare non valgono più. Si dimentica che in fondo siamo degli emigranti
nel tempo, che dobbiamo servirci del ricordo del passato per andare verso un
futuro meno ignoto.
Si
rende quindi necessario e urgente arginare la perdita delle conoscenze
passate per recuperare
l’esperienza del mondo della vita e per confidare in un pensiero che
possa coniugare logos (ragionevolezza
ma anche svelamento della realtà) e mythos
(stupore e meraviglia) che non isterilisca il gioco delle mani e del cervello,
nel ridurli a compilare caselle, mediante una x o un numero, dimentichi che la
scrittura è relazione con la mente, il cervello e il corpo per cui la mano che
scrive è un gesto vitale a garanzia della primaria funzione della comunicazione.
L’oblio che invece incalza quando ci si involve nelle nuvole
informatiche destina ad esiti amari come quello dell’immagine di una
passeggiata in carrozza, in cui si vedono tre alberi che sembrano
parlarci: «I loro rami si protendono- dice Proust- come se volessero afferrarci
e dirci: se non ci terrai con te, se non ci ricorderai, se non risolverai il
nostro enigma, una parte di te stesso ci sfuggirà».
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