Come ricorda Giacomo Leopardi, l’immaginazione ci
spinge verso l’infinito. E' motivo di
felicità oppure di angoscia?
di Catia
Bianchi
La convinzione leopardiana che l’inclinazione umana
verso l’infinito sia istintiva e che dunque tutto quello che è indefinito (lo
spazio senza confini) produca piacere deriva dal concepire la vita come un
qualcosa di circoscritto nello spazio e nel tempo, qualcosa che ha una fine.
Una tale rappresentazione dell’infinito attiva l’immaginazione, fonte di
piacere e serenità.
Sensazioni effimere per Leopardi, infatti il potere
positivo delle illusioni si rivelerà vano. Il piacere sarà visto solo come un
fantasma, un oggetto indistinto e sfuggente, mentre la noia e la sofferenza si
mostreranno come i soli aspetti concreti della vita umana.
Dal piacere dell’immaginario, passando per la
concretizzazione del dolore, giungerà al cosiddetto pessimismo cosmico, quella
concezione per la quale, inversamente alla sua posizione iniziale, affermerà
che l'infelicità è insita nella vita dell'uomo, destinato a tormentarsi per
tutta la durata della sua esistenza.
Propendo per la prima visione leopardiana. In quanto ottimista
per natura, adoro l’immaginazione e le emozioni positive che ne conseguono. Amo
la vita e non temo la morte. L’inclinazione dell’uomo verso l’infinito? Esiste
una fobia più angosciante dell’idea delle morte, una paura di cui si parla
poco, l’apeirofobia, appunto la paura dell'infinito. Che il fatto di non averne
paura significhi non sapere cosa vuol dire morire e temere l’ignoto?
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