Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
Nella ricorrenza delle stragi in cui persero la vita Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino, le
iniziative celebrative si accompagnano alle polemiche sulla “passerella” mediatica dei
politici. Quelle date denunciano ancora l’assenza del rigore civile e i limiti dello Stato nel
contrasto alla criminalità di ogni tipo
(ap*) Sono 27 anni dal giorno, il 23 maggio
1992, in cui la mafia compì la strage di Capaci provocando la morte del giudice
Giovanni Falcone, della moglie, e degli uomini della scorta. Una data che
idealmente si collega, nella coscienza di tutti, a quella, di poco successiva,
del 19 luglio dello stesso anno, nella quale un altro attentato dinamitardo
provocò a Palermo in via D’Amelio la morte del collega e amico Paolo
Borsellino, e anche qui della sua scorta.
Due uomini dello Stato, due simboli della
lotta alla mafia e della possibile rinascita del Paese contro il potere della
criminalità organizzata.
Una ferita, le stragi di Capaci e
Palermo, ancora da rimarginare per la lacerazione profonda inferta alla
convivenza civile, e per il dolore arrecato a tante famiglie. Avvenimenti che
hanno creato un solco profondo, uno spartiacque, segnando un prima e un dopo.
Essi hanno reso ancor più evidente il radicale divario tra principi opposti: il
giusto e l’ingiusto, l’insopportabile violenza esercitata da pochi sul tessuto sociale
e il diritto di tutti a vivere nella legalità. Senza il ricatto del sopruso e della
prepotenza, la minaccia delle ritorsioni.
Capaci, 23 maggio 1992 |
La morte dei giudici che più hanno saputo
lottare contro il crimine per la tenacia mostrata e l’intelligente ricerca di nuovi
metodi di indagine è stata tanto terribile nella sua abnormità e ingiustizia
da provocare uno scossone nelle coscienze, un sussulto di sdegno e di reazione.
Così, hanno trovato forza e coraggio in tanti, che ora mantengono vivo, nella
giustizia, nella scuola, nelle attività economiche e commerciali, l’impegno a
combattere la disonestà, le connivenze, vincendo la tentazione della
rassegnazione e della viltà.
Nella ricorrenza di questi fatti, a
Palermo arriva “la
nave della legalità”, una nave con 1500 studenti salpata da Civitavecchia,
accolta da molti studenti e da cittadini qualunque, a significare il
coinvolgimento dei giovani e l’importanza della educazione alla legalità. Il Presidente
della Repubblica Mattarella ricorda le stragi e il sacrificio di quegli
uomini, incoraggia che “la protervia della mafia sarà sconfitta” e constata che
quegli eventi così tremendi sono stati comunque “motore di riscossa di
civiltà”.
E tuttavia questo è diventato persino un
anniversario delle polemiche perché a tanti è parso che la politica ancora una
volta fosse pronta più a partecipare ad una passerella mediatica che a ribadire
il suo impegno concreto nella lotta alla mafia. Esposizione mediatica, paginate
sui giornali, qualche selfie, e poi tutti a casa.
Nella giornata del ricordo non mancano le
contestazioni nei confronti del ministro Salvini e in genere nei confronti del
governo per una partecipazione (compatta) ritenuta solo di facciata, e molte
sono le assenze significative o le critiche (da Claudio Fava presidente
della commissione regionale antimafia al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, al
governatore siciliano Nello Musumeci) che comprendono la sinistra e la destra.
Via D'Amelio, Palermo, 19 luglio 1992 |
Oltre le cerimonie, oltre gli annunci e
le promesse. Una parola di chiarezza sui rapporti tra politica e mafia è
l’obiettivo irrinunciabile di tutte quelle azioni giudiziarie, come i processi relativi
alla trattativa Stato-mafia, che pur a distanza di tempo si propongono oggi di
far luce su anni bui della Repubblica e su inammissibili connivenze tra pezzi
dello Stato e il crimine sanguinario.
La pratica della legalità è l’impegno di
quanti (associazioni laiche o religiose, insegnanti ed imprenditori,
giornalisti e scrittori, cittadini qualunque), nel quotidiano, provano a
prosciugare il terreno di coltura del crimine diffondendo il senso costruttivo
dell’onestà.
La riscossa innestata da quelle stragi ha determinato risultati importanti ma non ancora decisivi, non solo per la vastità del fenomeno mafioso e la sua estensione anche in zone più ampie del territorio siciliano, ma per gli effetti devastanti determinati nel tempo dalla diffusione del virus dell’illegalità.
La riscossa innestata da quelle stragi ha determinato risultati importanti ma non ancora decisivi, non solo per la vastità del fenomeno mafioso e la sua estensione anche in zone più ampie del territorio siciliano, ma per gli effetti devastanti determinati nel tempo dalla diffusione del virus dell’illegalità.
Nella vita di tutti i giorni, nei
comportamenti di esponenti politici o dell’amministrazione pubblica, o in
quelli di noi tutti, comuni cittadini, un’assenza è lacerante rispetto
all’aggressione criminale: il senso di legalità e l’azione coerente, costante
dello Stato, ogni giorno, per dargli forza. Si chiami mafia, ndrangheta o
camorra. Si chiami crimine organizzato, o delitto. Qualunque sia la minaccia,
la risposta non può prescindere da un sussulto della coscienza, da
un’affermazione dei valori del rigore e dell’onestà, in ogni campo.
* Leggi La Voce di New York:
Le stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio: per non smarrire il senso di legalità
La ricorrenza delle stragi, con le "passerelle" dei politici, denunciano l'assenza di rigore civile e i limiti dello Stato alla criminalità di ogni tipo
* Leggi La Voce di New York:
Le stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio: per non smarrire il senso di legalità
La ricorrenza delle stragi, con le "passerelle" dei politici, denunciano l'assenza di rigore civile e i limiti dello Stato alla criminalità di ogni tipo
Nessun commento:
Posta un commento