Il sabato di una donna, dopo una separazione dolorosa da cui non si è
ancora guariti
di
Marina Zinzani
(ap) I “racconti del sabato”: una
giornata della settimana, occasione di un racconto. E’ un momento
particolare, spesso infarcito soltanto di maggiori impegni, faccende di casa,
per una donna. Da trascorrere correndo, con le ore ancora una volta contate,
insufficienti.
Un tempo per fare ciò che si è
rimandato in attesa di trovare spazio tra le proprie cose, oppure, invece, per
dedicarsi a qualcosa di piacevole, divertente; leggere un libro, guardare un
film, uscire con amici di vecchia data. Trovare pace e serenità, piccoli
piaceri. Accade anche di non fare nulla, guardarsi intorno in casa, fare una
passeggiata. In compagnia dei propri pensieri.
In “Eliana”, il sabato è incontro
dolente con la propria solitudine di donna separata, da tempo sola, che è
sprofondata in una sorta di depressione: il senso della sconfitta, la mancanza
di gioia. Un momento per ripensare al proprio passato, alle ragioni della
separazione, a quel senso di incomprensione che è innanzitutto intimo e
personale, prima che sociale. Ma la fine della settimana può anche segnare,
all’improvviso, il risveglio.
Annaffiare
il prato, sistemare i fiori comprati la sera prima, prendere le verdure
dell’orto e fare un bel pranzetto: era cominciata così la mattina di Eliana. Il
sabato mattina.
Una
donna ancora giovane nell’aspetto, i suoi 48 anni portati più che bene, i
capelli corti, molto corti, gli occhi vivi di chi ha interessi, impegni,
amicizie, e cose da fare. La vita una continua scoperta, aspettare il sabato
per godersi una giornata che non fosse solo di faccende di casa, ma di cose
gradevoli, per se stessa, prima di tutto.
La
separazione era alle spalle, tutto era stato doloroso, oh, quanto doloroso, e
quanto inutili e scontati erano stati i commenti degli altri, i tentativi di
aiuto. Nessuno ti aiuta, quando sei in mezzo al mare. Nessuno ti aiuta
veramente.
Aveva
scritto queste frasi nel suo diario, o meglio sull’agenda su cui scriveva
pensieri, anche poesie di altri, o pezzi di articoli trovati da qualche parte
su cui soffermarsi. Aveva trovato più conforto in un articolo di giornale che
da amiche o presunte tali, che alla fine finivano per raccontare il loro mondo
in cui protagonisti erano gli impegni dei figli, i loro successi o le
preoccupazioni che davano.
In
fondo lei era una separata senza figli, poteva rifarsi una vita. Questo le
avevano detto, in sostanza, le amiche. E poi c’era stata la gara per trovarle
qualcuno da uscire, l’amico del marito che si era separato, questo che aveva
avuto un lungo fidanzamento finito in niente. Potevano fare sorridere, questi
tentativi di non lasciarla sola. Il punto era che a niente erano serviti.
Nessuno
ti aiuta veramente. Perché quando sei
sola in casa la sera, quella casa che hai contribuito a far nascere, in cui
ogni oggetto parla di anni trascorsi assieme, comprato con amore, con
attenzione, con allegria, quando sei sola la sera ti trovi di fronte al tuo
fallimento. Se tu fossi stata… qualche insinuazione da parte della madre… forse
è un po’ colpa tua…
Nessuno
ti aiuta veramente, quando stai per affogare. Quando il tuo compagno, piacente,
certo, un bell’uomo, è stato preso di mira da un’altra donna. Una storia
vecchia come il mondo. Da una parte la stanchezza, gli anni assieme trasformati
in abitudine, o no, in un’altra forma di amore, in cui la passione non è più
così intensa, anzi se n’è andata, dall’altra l’uomo che ha bisogno di passione,
di emozioni…
Nessuno
ti aiuta veramente. Forse il prato, forse l’erba, forse il quadrifoglio che
ogni tanto si può incontrare. Ti aiuta un fioraio, che ti spiega come far
crescere bene delle rose, e ti insegna come prendersene cura. Forse ti aiuta
una parrucchiera che ti consiglia una pettinatura che ti sta bene, che migliora
il tuo viso. Forse ti aiuta l’amica che non ha niente da dirti, niente per
consolarti, niente sul futuro radioso che potrebbe attenderti, se ricominci ad
uscire di casa e a metterti nel giro.
La
depressione era arrivata puntuale, come il tempo birichino di marzo, c’era da
aspettarsela, si accompagnava ai lutti, alle perdite, ai fallimenti. La
depressione era arrivata un giorno dalla finestra, un colpo di vento era
entrato violento, e l’aveva immobilizzata. Una magia crudele, il corpo stanco
improvvisamente, nessun più interesse, l’apatia.
Alla
fine si erano allontanate, le amiche che avevano consigli da darle. Era una
donna che incuteva una sottile tristezza. Una vittima, certo, non se la
meritava una fine così, lei aveva dato l’anima al suo compagno. Ma pur nel
darle ragione, le amiche avevano mostrato, fra le pieghe, un sottile
disinteresse. Avevano le loro case, i loro impegni, il loro mondo, più vivace.
Anche più superficiale. Ma ben più
felice del suo, a vederlo da fuori.
Nessuno
ti aiuta veramente. Si è soli, in mezzo al mare.
Succede
così: la guarigione arriva un mattino, proprio da quella finestra in cui è entrata
la folata di vento che l’ha immobilizzata nel corpo, nei pensieri, da quella
finestra arriva l’aria fresca e la rabbia: basta, basta, basta! Un urlo tenuto
dentro, e lacrime, tante lacrime. E poi andare fuori, e accorgersi della vita,
del prato, lasciato così andare, dei fiori appassiti, non annaffiava da tempo.
Il
riprendere a curare il giardino aveva segnato un inizio, quell’inizio che
conosce chi cade e non sa come rialzarsi, aveva toccato la terra con le mani,
aveva tolto erbacce, e piantato nuovi fiori. E tutti i sabati c’era una pianta
nuova da mettere in giardino, il prendersi cura di queste forme viventi, e in
queste forme viventi rinasceva la sua anima, si risvegliava la sua anima,
tornando ad amare. Se stessa, prima di tutto. Io. Io.
Era
immersa in tante faccende in giardino anche quel sabato, che non si accorse
subito della chiamata sul cellulare. L’aveva lasciato in casa. Quando se ne
accorse, le scaturì un sorriso. Era lui. Un nuovo incontro, una sera, in cui
aveva deciso di uscire.
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