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venerdì 18 ottobre 2019

Mafia e terrorismo, lo strano "premio"

Via D'Amelio, Palermo
Il reddito di cittadinanza agli ex brigatisti. Mafiosi o terroristi condannati all’ergastolo che possono uscire di cella. Un premio, un pericolo? Il governo delle regole deve affrontare una questione essenziale: la frattura con le scelte sanguinose di un tempo

(ap) Non bastano gli anni trascorsi per dimenticare. Ferite mai cicatrizzate e tanti ricordi tornano a scuoterci nel profondo. Dal buio, mai totale, della memoria riemergono fantasmi che ci rendono inquieti, e preoccupati per il futuro. Anche ex brigatisti rossi possono beneficiare del reddito di cittadinanza, come fa ogni mese Federica Saraceni condannata in via definitiva per l’omicidio D’Antona?
Mafiosi, o terroristi, condannati all’ergastolo per gravi delitti possono, come i delinquenti comuni, ottenere dei benefici senza aver reciso i legami col passato e così tornare in circolazione? Nomi del calibro di Leoluca Bagarella, Giovanni Riina, Benedetto Santapaola. Della brigatista Nadia Desdemona Lioce. Responsabili di omicidi, stragi, quest'ultima condannata per l'assassinio di Marco Biagi.
Il pensiero corre a tanti eventi efferati, al tritolo sanguinario (da Falcone a Borsellino), ai delitti in danno di tanti che hanno avuto il torto di combattere l’illegalità, rappresentare lo Stato, od essere, per professione esercitata, come Massimo D’Antona o Marco Biagi, simbolo di convivenza civile ed onestà. Vicende da cui ci separano anni, magari sconosciute ai più giovani che non erano ancora nati, ma non sepolte in un passato polveroso.
Si potrebbero analizzare in dettaglio queste problematiche, che appaiono legate da un filo comune, perché riguardano soggetti responsabili di fatti gravissimi che hanno lacerato il tessuto sociale provocando dolore e sofferenza, ma che sono anche assai diverse tra loro. O hanno una differente origine.
La normativa sul reddito di cittadinanza non ha previsto un’esclusione di questa possibilità per i condannati di certi reati, ma solo per gli imputati. Una situazione paradossale: se si è – solo - sotto giudizio non vi è accesso alla misura, mentre se la responsabilità penale è stata accertata in maniera definitiva questa possibilità è stranamente possibile e legale. Frutto di improvvisazione, oppure di calcolo ideologico errato. E non è superfluo ricordare che – a dispetto di ogni vanteria di intransigenza e fermezza - proprio la Lega di Matteo Salvini si oppose ad un emendamento che introduceva questo divieto per i terroristi già condannati.
Nel caso dell’ergastolo cosiddetto ostativo (perché esclude dalla liberazione condizionale o da altri benefici certi condannati al massimo della pena che non abbiano deciso di collaborare con la giustizia) è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo a ritenere che la misura sia contraria al principio per cui il trattamento detentivo non debba essere “degradante o inumano”, come in questo caso in cui il detenuto non avrebbe altra prospettiva che rimanere tra le sbarre.
Immediate le reazioni in entrambi i casi. Offesa la sensibilità delle vittime dei reati commessi da ex brigatisti rossi, ma soprattutto la dignità dello Stato stesso, pronto a venire incontro a chi lo ha combattuto con le armi senza pretendere nemmeno un ripensamento delle proprie azioni. A molti poi è sembrato che la Corte europea, quanto all’ergastolo, sottovalutasse la pericolosità del fenomeno mafioso o terroristico, o semplicemente la stessa natura permanente del vincolo associativo criminoso – se non interrotto da una resipiscenza comprovata – e quindi capace di perpetuare i suoi effetti anche a distanza di tempo.
Non si tratta di casi limite o di scarsa importanza, che non incidano sui meccanismi sociali, in una parola sulla funzionalità del paese. Ci coinvolgono tutti, mostrano quanto certe scelte dei singoli abbiano lasciato segni indelebili nelle coscienze, per cui la possibilità che lo Stato versi una somma di denaro all’ex brigatista oppure gli conceda di uscire dal carcere è avvertita come un sopruso intollerabile. Appunto una sorta di premio a criminali.
Non basterebbe soltanto predisporre qualche rimedio giuridico pur necessario, come escludere certi condannati dal reddito di cittadinanza, o valutare caso per caso la sorte dei singoli mafiosi e  terroristi per verificare che qualcosa sia cambiato.
In discussione, piuttosto, è il difficile equilibrio dei valori. Tra il concetto stesso di “regola”, valida per tutti, e quello, ancora più problematico, di “limite” – oggettivo e legale – alla sua applicazione. Un problema che investe la normativa italiana, ma anche quella europea.
Si tratta di stabilire se, nel primo caso – come molti a suo tempo mettevano in evidenza –,  il reddito di cittadinanza possa davvero avere, secondo l’ispirazione originaria dei 5SStelle e anche di certa sinistra radicale refrattaria a limitarlo, un carattere di “universalità” e sia dunque intollerante rispetto a possibili condizioni. Solo uno strumento di sostegno in funzione della reintegrazione nel mondo del lavoro e non una gratificazione immeritata, come appare a molti.
Oppure, nel secondo caso riguardante il fine pena irriducibile, se la liberazione di un condannato possa considerarsi un “diritto” vero e proprio del soggetto con una forza esorbitante rispetto ad ogni restrizione, e non come “possibilità” subordinata a un percorso riabilitativo. Perché la libertà – dopo fatti tanto gravi – richiede una frattura con il proprio passato.
Alcune scelte individuali – per fortuna poche - hanno segnato tuttavia l’esistenza di tanti e anche a distanza di tempo i conti non tornano mai. Una sfida che sembra impossibile: trovare il modo di comporre il dissidio. Il passato che ci era sembrato per un attimo inchiodato nel legno della dimenticanza riemerge ogni volta che qualcosa torna a ricordarci il sangue innocente. Un dramma che sembra parte integrante della nostra storia sin dalle origini e che non trova un esito rassicurante. Anche perché sempre nuove occasioni mostrano ancora oggi che esso continua a scorrere impunemente.
Riavvicinare mondi, distinguere idee, riannodare i fili della vita collettiva è un esercizio complicato. Il vento che un giorno ha trascinato con sé detriti polverosi continua a soffiare impetuoso. Il bruciore dei patimenti non trova lenimento possibile se non si governano le regole della vita collettiva, con umanità e responsabilità.

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