Le foto di alcune famiglie ebree trucidate, Museo della Memoria, Gerusalemme (foto ap) |
di Bianca Mannu
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Il 27 gennaio è stato scelto
come giorno della memoria perché è la data in cui le truppe sovietiche
entrarono nel campo di Auschwitz. Era la fine, con la sconfitta della Germania
nella seconda guerra mondiale, della Shoah. Una parola che indica lo sterminio
del popolo ebreo da parte dei nazisti in ogni paese sotto il loro dominio in
nome di una presunta inferiorità etnica. Furono trucidati dai 5 ai 7 milioni di
ebrei, adulti e bambini, donne e uomini. E con loro, tanti altri, minoranze
etniche, religiose, sessuali.
Da allora, il monito a non
dimenticare quella barbarie, difficile persino da concepire per una mente umana
(e per questo i nazisti – cercando di eliminare ogni traccia dei massacri –
pensavano che il mondo non avrebbe potuto credervi, e contavano sull’impunità).
Il ricordo dell’eccidio degli ebrei
vale anche come esortazione a non trascurare le persecuzioni più recenti o
addirittura attuali. Basti pensare agli armeni, ai curdi, al popolo birmano dei
Rohingya, solo per dirne alcuni.
La memoria è civiltà, è insegnamento
al rispetto dell’uomo, è educazione ai valori fondanti della convivenza. Il silenzio è complicità con l'offesa alla dignità di tutti.
Un monito per oggi, un antidoto contro qualsiasi ritorno della follia. Di cui non mancano tracce allarmanti proprio in questi momenti: gli insulti a Liliana Segre superstite dell’olocausto, senatore della Repubblica per altissimi meriti in campo sociale, e la diffusione di simboli e frasi tipiche della mitologia nazista (come quella scritta volgare “juden hier” – ebrei qui - a Mondovì, sulla porta di casa di una partigiana, deportata nei lager).
Un monito per oggi, un antidoto contro qualsiasi ritorno della follia. Di cui non mancano tracce allarmanti proprio in questi momenti: gli insulti a Liliana Segre superstite dell’olocausto, senatore della Repubblica per altissimi meriti in campo sociale, e la diffusione di simboli e frasi tipiche della mitologia nazista (come quella scritta volgare “juden hier” – ebrei qui - a Mondovì, sulla porta di casa di una partigiana, deportata nei lager).
Prendendo a prestito le parole del
poeta, la barbarie di quella stagione è «grida spalmate nell’abisso, vortice
del tempo siderale, falsità delle nuvole». Ma vogliamo continuare a sperare che
proprio i «segni di memoria» siano capaci di frantumare i «canti inceneriti»
del passato.
Un già da sempre
istante
il mio silenzio
smarrito dal visibile:
caos
suono di voliera
in dissipazione
Né luce/ombra né
colori
neppure nero che
l’occhio
della mente possa
figurarsi –
se mai occhi possano
sbocciare dove il seme
del ricordo sprofonda
nel suo sonno di
sabbia -
se mai possa dirsi
mente
l’ansimare in vortici
del tempo siderale,
vento insonoro
di gridi spalmati
nell’abisso
creste d’ansia sospese
sul canto incenerito
scrollo d’ali presunte
sul soffio agonizzante
d’una nota
impossibile,
… macerie … offerte
alla cupidigia dei
trapassi
all’urgenza di abolire
tranciando le zampe al
tempo
frantumando i segni di
memoria
… uno/una di molte
ombre
a spiare un’alba
da sotto il senso
d’una falsa nuvola
afferrate a uno
straccio d’anima
nascosto come una
crosta di pane
tra gli offesi recessi del corpo –
come se Lei – l’imperturbabile
Moira-
non fosse sempre già -
- prima di tutto e
tutti
e per l’unica certezza del poi –
innescata
nell’alterazione infausta
d’un uovo
Bellissima
RispondiEliminagrazie da Liana