Un quaderno ritrovato per caso diventa un diario in questi giorni di solitudine. Paure, tristezze, speranze di una donna al
tempo del coronavirus. Dopo, sarà sicuramente diverso
di Laura
Maria Di Forti
Finalmente
ho preso il coraggio e ho deciso che scriverò perché voglio utilizzare questo
quaderno che possiedo da due anni. L’ho comprato a Firenze in un negozietto
bellissimo, vicino a Santa Maria del Fiore, un negozietto che sapeva di carta e
di antico, di lettere scritte da amanti e di sogni che si confidano
all’inchiostro.
Sono entrata in quella cartoleria con Wanda, la mia cara amica, sono entrata quasi timorosamente, forse intimidita da tutta quella bellezza di libri rilegati in cuoio rosso, di carta marmorizzata, di cofanetti con penne a piuma e calamaio. Ho deciso che non potevo uscire da quell’antro meraviglioso senza un piccolo trofeo, e così ho comprato questo quaderno con la copertina in cuoio e stoffa.
Sono entrata in quella cartoleria con Wanda, la mia cara amica, sono entrata quasi timorosamente, forse intimidita da tutta quella bellezza di libri rilegati in cuoio rosso, di carta marmorizzata, di cofanetti con penne a piuma e calamaio. Ho deciso che non potevo uscire da quell’antro meraviglioso senza un piccolo trofeo, e così ho comprato questo quaderno con la copertina in cuoio e stoffa.
Dapprincipio
ho pensato che l’avrei usato per scrivere le mie impressioni sul viaggio, ma
non ne ho avuto il tempo e, una volta tornata a casa, a Roma, l’ho messo in un
cassetto del mio bureau, in salotto, dimenticandolo. L’ho rivisto giorni fa,
mentre cercavo del nastro adesivo per chiudere un pacchetto di pasta. Rivederlo
è stato quasi angosciante. Detesto possedere cose che non utilizzo, ma comprare
questo quaderno era stato un atto di rispetto nei confronti della bellezza del
luogo e di tutto ciò che c’era dentro e pertanto mi sono sentita obbligata a
trovare un uso che soddisfacesse il mio bisogno di assegnare un destino ad ogni
cosa. E quale poteva essere il destino di questo quaderno?
Essere
utilizzato per scrivere la lista della spesa o per compilare lettere che non
avrei mai spedito? No, volevo dare a quelle pagine una destinazione che
appagasse il mio spirito perché, quando avevo visto il quaderno, l’avevo voluto
subito, mi aveva ispirata, l’avevo sentito mio. Un diario.
‘Stupidaggini’
mi sono detta. Non sono una ragazzina, un’adolescente che scrive le sue piccole
insignificanti storielle d’amore o le litigate con l’amica del cuore. Un
diario, che idea buffa, sciocca direi, sicuramente inadeguata per una donna
come me, una donna solida e non più giovanissima, ormai. Eppure.
“Un
diario parla di solitudine” disse una volta un comico inglese. Santa pace! Cosa
c’è di più amaro della solitudine? Ed io sono una donna sola, senza un marito o
un compagno e senza figli. Sola, certo, e allora? Dovrei piangere o recitare il
Mea culpa? Un diario può essere, invece, un antidoto a questo senso di vuoto e
di insofferenza. Un diario può darmi uno scopo la mattina e regalarmi qualcosa
da fare in questo momento tanto difficile che sto vivendo insieme ad altri
cinquanta milioni di italiani. Rimanere a casa, chiusa, rinchiusa, confinata,
bloccata per questo coranavirus!
Lo so,
bisogna essere responsabili, ed io lo sono, non esco, non intrattengo relazioni
sociali, non vado a prendere l’aperitivo coi colleghi o il tè con le amiche, ma
rimango a casa a guardare la televisione, leggere libri e mettere in ordine gli
armadi. Ma sono sola, completamente sola e costretta a non proferire parola ed
ecco, trovo la cosa molto deprimente. E allora l’idea del diario può
rappresentare l’antidoto al malessere, l’escamotage per sconfiggere la noia, il
mezzo per ritrovare un mezzo sorriso.
Un
diario a cui parlare, con il quale confidarsi, intrattenere una relazione, un
rapporto stretto immaginando, per l’assurdo, di stare conversando con un’amica,
un confessore oppure un amante. L’immaginazione, infatti, in questi casi può
essere d’aiuto. D’altronde, Lev Tolstoj diceva che “scrivere un diario non è una ragazzata, è dialogare con sé stessi, con la
parte vera, divina, che vive in ogni uomo”.
E allora,
assolta dal grande scrittore russo, ho preso la mia decisione. Scriverò un
diario, lo scriverò col cuore, l’immaginazione, lo scriverò per raccontarmi,
intrattenermi, lo scriverò sorridendo e forse anche piangendo, chissà. Lo
scriverò per superare questo momento di ansia, di solitudine, di paura. Paura,
sì, di essere preda anch’io, come altri, di questo male.
E così,
quando tutto questo sarà finito, quando uscirò nuovamente per ritornare alle mie
abitudini, quando le strade saranno piene di traffico, quando sentirò le voci
urlanti dei bambini che escono dalla scuola, quando incrocerò il nostro vicino di
ritorno dalla palestra, quando incontrerò gli amici al bar a prendere
l’aperitivo, quando potrò nuovamente andare al ristorante e fare spese nei
centri commerciali, insomma quando la vita ritornerà quella di prima, allora io
riprenderò in mano questo bel quaderno con la copertina di cuoio rosso e stoffa
e leggerò le pagine in cui avrò riversato i miei pensieri, le aspettative, le
amarezze anche, e forse qualche cruccio.
Probabilmente
mi sentirò più forte, sicuramente penserò di essere cambiata, svuotata da tutte
le paure che, grazie al mio diario, avrò affrontato e combattuto. E così,
finalmente, potrò scrivere in fondo a questo diario:
“Grazie diario. Io ora
sono felice e penso che questa felicità, che nuovamente mi è stata offerta, sia
meravigliosa. Essa è reale e concreta, io la voglio cogliere e non intendo
sottovalutarla. Ma la farò lievitare, si moltiplicherà e darà frutti, perché
questa mia felicità voglio che renda felici anche gli altri.
E
quindi addio diario. Ti ho dato vita in un momento difficile e tu mi hai
aiutato, mi hai sorretto, hai saputo confortarmi. A tuo modo.
Ed ora,
addio. Se la mia sofferenza doveva rimanere chiusa tra queste pagine, voglio che
la mia felicità sia evidente a tutti, non prigioniera di questi fogli, ma
libera di andare di gente in gente, si propaghi e contagi tutti. D’ora in poi
sarò più allegra, godrò di ogni istante, di ogni singolo momento trascorso in
mezzo alla gente, nel bar come nel traffico, in ufficio o durante una
passeggiata. Sarò più felice, sì, lo sarò pienamente e con doverosa
riconoscenza, perché quando non si ha più ciò che si ritiene scontato, allora,
e solo allora, se ne comprende l’importanza e la bellezza.”
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