La vita che scivola, il tempo impazzito. La frenesia di Marta, artista d’altri tempi
di Laura Maria di Forti
Un pomeriggio di inizio maggio, dopo un
acquazzone che aveva scaricato acqua e grandine, mentre il sole riappariva
timido dietro grosse nuvole ormai ritornate bianche, Lidia si ricordò di un
appuntamento con Marta Vampa, l’artista che andava per la maggiore negli
ambienti alto-borghesi e che aveva scolpito i due delfini in marmo bianco che
Marisol aveva sistemato sul tavolino dell’ingresso.
Marta era una donna assai colta, una
settantenne un poco fuori di testa, ma forse proprio per tale ragione risultava
simpatica e piacevole. Si incontrarono in un grande bar del centro, in zona San
Babila. Marta era seduta ad un tavolinetto sorseggiando del vino bianco,
fresco, e divorando delle noccioline da una scodellina a fianco. Quando vide
arrivare Lidia agitò le braccia per farsi notare, come se la sua giacca rosso
fuoco e gli occhiali da vista bianchi e grandi non fossero stati di per sé
sufficientemente riconoscibili.
“Cara Lidia!” esclamò con il suo
vocione stentoreo. Sotto la giacca rossa indossava un abito nero,
smisuratamente scollato, e grandi orecchini argentati, che disse essere una sua
creazione. Si alzò per abbracciarla forte, come era sua abitudine. Cominciò
subito a parlare a raffica come le era congeniale e pregò Lidia di organizzarle
una cena con tanti invitati per procurarle un po’ di clienti perché, disse,
stava vivendo un lungo periodo creativo ed aveva parecchie opere da vendere.
In effetti confessò di avere bisogno di
denaro perché sentiva che la vita le stava scivolando di mano, il tempo era
impazzito, ogni giorno passava sempre più in fretta e i viaggi, i divertimenti
e le sue voglie matte in fatto di cibo, uomini e acquisti sfrenati costavano
parecchio. Le rimaneva ancora poco tempo prima di rinchiudersi in casa e
serrare le porte al mondo esterno. Ancora per qualche anno voleva godersi la
vita e le occorrevano soldi, tanti soldi.
“Tu hai un mare di conoscenze, cara, e
potresti aiutarmi a piazzare le mie opere. I due delfini ti sono piaciuti,
ricordi? E ti ho anche scolpito le ballerine in tutù che hai regalato alla
moglie del console argentino” disse Marta.
Lidia acconsentì. Avrebbe organizzato
una cena per presentare Marta ai suoi amici e conoscenti, una cena in piedi, a
metà maggio, nel grande terrazzo, con le grosse candele profumate e una cascata
di fiori al centro del lungo tavolo.
Rimasero a parlare per più di un’ora.
Marta era felice, raggiante, non sembrava neanche una donna di quasi settanta
anni, e poi rideva, scherzava, riuscendo a mettere di buon umore Lidia che
aveva alle spalle una giornata pesante con mille appuntamenti e riunioni
infinite.
Ma poi Lidia si mise ad osservare bene
l’artista che continuava a mangiare le noccioline e bere il vino bianco con la
voracità di un’adolescente, e pensò che fosse avida di vita, vogliosa di tutto,
ma immaginò che, probabilmente, fosse soprattutto desiderosa di tempo a sua
disposizione.
Quelle noccioline che sgranocchiava
senza pudore, senza vergogna del rumore che faceva e delle briciole che le
cadevano sul vestito e che si depositavano sulla gonna scura come macchie che
poi venivano spazzate via con un colpo veloce della mano, quelle noccioline
avrebbero potuto essere i giorni, i mesi e gli anni che Marta voleva arraffare
e divorare, in un ultimo tentativo di non scomparire.
Nel pensare questo, nel supporre tutta
l’angoscia provata da quella donna, più anziana di lei, certo, ma come lei
sola, Lidia ebbe paura. Per la prima volta nella sua vita, Lidia comprese che
stava velocemente incamminandosi verso la solitudine. Ancora qualche anno e
avrebbe dovuto lasciare il lavoro, si sarebbe chiusa nella sua bellissima casa,
la sua alta torre d’avorio inaccessibile, perché così lei, proprio lei, aveva
deciso, e il mondo, quello vivo, reale, il mondo fatto di giovani, di gente
qualunque, di bambini schiamazzanti e di donne e uomini operosi, sarebbe
rimasto fuori.
Lidia pensò allora che non voleva
divenire una macchietta come Marta, troppo truccata, con i capelli tinti di
blu, con quella giacca rossa, chiassosa, poco elegante. Ma si sa, gli artisti
sono strambi, sono dei geni che non sanno stare al mondo, vivono in un’altra
dimensione, comunicano con gli altri esseri umani con la difficoltà dei ciechi
e dei sordi. Ma i ciechi e i sordi sono le persone normali, non loro che invece
vivono i loro sensi appieno perché vedono con le mani e con il corpo oltre che
con la vista, e sentono con la mente, non solo con le orecchie.
E mentre pensava a queste cose, Lidia
sentì qualcosa, delle parole dette da Marta, e rabbrividì. L’artista stava
dicendo una cosa tanto strana, qualcosa di inconsueto e terribile insieme. Le
stava parlando di giovani uomini che in un certo bar lì vicino, il Rendez-vous, un bellissimo locale
lussuoso, elegante, frequentato da molte signore dell’alta società, donne
manager soprattutto, donne che si dedicavano solo al lavoro e avevano poco
tempo, questi uomini belli, colti anche ed estremamente curati e gentili, si
offrivano per denaro come accompagnatori, magari ad un ricevimento o a teatro
anche, si offrivano per dare compagnia, perché in questo mondo, diceva Marta,
c’è tanta solitudine.
Lidia ascoltava e intanto provava quasi
fastidio, ma anche molta curiosità. Marta le confessò che talvolta anche lei si
recava in quel bar per ascoltare musica e bere un aperitivo e, di tanto in
tanto, lasciava che un giovane si avvicinasse al suo tavolino e si sedesse al
suo fianco. Era piacevole ascoltare la voce di un uomo, gustarne il timbro
caldo. Poi, lei se ne andava lasciandogli del denaro sul tavolo come
ringraziamento per il tempo trascorso insieme ma, talvolta, dopo aver convenuto
il prezzo, si faceva accompagnare a casa e trascorrevano insieme la notte.
Lidia rimase senza parole. “Non ti avrò
certo scandalizzato, vero Lidia?” chiese Marta.
Cosa dire? Sorrise, pensando che mai e
poi mai avrebbe pagato un uomo. Lei, proprio lei, una donna bellissima, capelli
biondi, occhi azzurri, una carnagione bianca, candida come la neve. Una donna
affascinante, elegante, inappuntabile. Una donna colta, raffinata, che ha
sempre giocato con gli uomini, che mai ha dovuto chiedere o addirittura
pregare, ma ha preso, lasciato, afferrato, che ha costantemente scelto, che si
è divertita, ha puntato e ha vinto. Mai e poi mai avrebbe pagato un uomo.
Marta si mosse, doveva andare al Rendez-vous e forse avrebbe permesso ad
un ragazzo di sedersi al suo tavolino, così come ora era seduta Lidia. Si
lasciarono con la promessa di quella cena, tartine al formaggio, aragosta e
calici di champagne.
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