Dietro i vetri della finestra nei giorni di freddo: un incanto che il tempo ha spezzato
di
Paolo Brondi
Nell’ultimo
sogno mi ritrovai adolescente, ricongiunto a figure amate e perdute nell’oblio e
a vicende fonte di identità. Come quella vissuta un giorno, da sveglio, in cui
una mia paziente mi aveva chiesto aiuto per il figlio piccolo, pregandomi di
recarmi nella sua casa.
Percorrendo la strada indicata vidi, a un tratto, dal
cancello di una villa, uscire una donna: molto graziosa ed elegante. Lei mi
guardò con intensità e poi, di slancio, mi abbracciò.
Mi
aveva riconosciuto subito, mentre io faticavo a ricordarla. Non aveva più i
capelli biondi di allora, il calore degli occhi di allora, ma pian piano
riannodavo le fila di una stagione lontana, adolescenziale e meravigliosa per i
primi palpiti del cuore. Dopo anni di lontananza da quel luogo e di
soffocamento delle memorie ad esso legate, ecco la stranezza di quell’incontro.
Di fronte a me stava Giovanna, la donna che, precoce ragazza, per prima mi aveva
svelato i segreti dell’amore.
L’incontro
fu breve, ma molto affettuosa l’accoglienza. Dopo la prima sorpresa potemmo
riannodare le trame della nostra esistenza. Rammentando e ripetendo i nomi dei
nostri compagni, riuscimmo a colmare gli ultimi vuoti e a recuperare immagini
del nostro sentire, dai colori tenui, delicati, sereni e dai modi carezzevoli.
Ed io mi rivedevo, appena più che ragazzo, tornare a piedi su un lungo
viottolo, dopo le ore di scuola media con gli occhi perduti in una quotidiana
dolce visione.
Lei
mi aspettava, ogni giorno, dietro i vetri della sua finestra e mi salutava
così, senza parole. Nei giorni di freddo mi veniva incontro, con il visino
arrossato, i biondi capelli scomposti e sorrideva, rivelando la sua anima
gentile e romantica. La presi un poco in giro, scherzando, quando, per la prima
volta la vidi con calze di seta e tacchi più alti e lei, confusa, arrossiva,
guardandomi con tanto, tanto amore.
In
quel giorno, da quella finestrella si affacciò la figlia di lei, con voce
squillante: “Mamma. hai ritrovato il compagno di un tempo?”. Non chiesi a
Giovanna a chi assomigliasse la figlia o perché mi avesse subito individuato
come l’antico compagno. Avrei voluto che somigliasse solo a lei, per ricreare,
per un istante, l’incanto di quella perduta età, quando il nostro stare vicino,
in giri di affetti, costituiva tutto il conforto del vivere.
Un
incanto spezzato troppo rapidamente per un susseguirsi di eventi non vissuti
più con la stessa intensità e spontaneità del cuore, appannata dalla esperienza
e dal realismo del poi. Ci salutammo con un arrivederci, a presto, quasi
prefigurando un desiderio di mantenere la purezza di quelle memorie contro il
gelo del tempo che passa.
Delicatezza, simbolismo, soavità. Il racconto palpita di memorie. Il linguaggio è leggero ma pregnante, la descrizione meravigliosa a metà tra reale e ideale. Una poesia in prosa. Stupenda.
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