Un brutto pasticcio e non sapere come uscirne
di
Paolo Brondi
Quel
pomeriggio, forte soffiava il maestrale, schiaffeggiando la sabbia e il mio
viso. Non me ne curavo e passeggiando cercavo di sciogliere gli affanni e ogni
più pesante pensiero. Inebriante era il profumo del mare reso più intenso dal
vento che punzecchiava la pelle, nascondendo ogni altro rumore e facendo
immaginare il nulla. Volli assorbire tutte queste sensazioni sdraiandomi ove la
sabbia era appena sfiorata dalla marea.
Quasi
mi stavo addormentando quando, a un tratto, vidi in lontananza una figura
rannicchiata e con il capo stretto fra le mani: mi avvicinai e mi resi conto
che si trattava di una giovane donna. Era a capo scoperto, chino in basso e con
capelli biondi e scomposti che le nascondevano il volto. Le rivolsi un saluto:
“Buon giorno, ha bisogno di aiuto?” Lei si voltò: i suoi occhi erano pieni di
lacrime e le sue mani tremavano. Rispose con un filo di voce: “Grazie, non ho
bisogno di niente, la prego, mi lasci sola.”.
Non
replicai e mi sedetti accanto a lei. Per un po’, rimanemmo in silenzio: lei ora
guardava intensamente il mare; io, con un’occhiata, apparentemente distratta,
cercavo di costruirmi un’immagine più completa della donna perché ne avevo
notata la finezza dei tratti, la giovinezza che traspariva da ogni suo pur
minimo movimento. Mi chiedevo da dove e perché era capitata lì, in quel giorno
così ventoso. Forse era sua la macchina sportiva che avevo visto posteggiata
sul litorale e chissà se il suo pianto non fosse la risposta a una drammatica
delusione d’amore.
Intanto,
le sue mani apparivano meno tremanti e tutto il corpo si mostrava più
rilassato. Era evidente che la mia vicinanza, accettata nonostante l’iniziale
diniego, provocava in lei una sicurezza nuova. Mi ricordava una ragazza che,
con simile comportamento, turbava i miei primitivi slanci affettivi. Si
chiudeva a riccio e non parlava più. Cercavo di dominare l’incomprensibile
silenzio, ma mi sfuggivano i significati di quel mutismo e mi guardavo intorno
incerto se andarmene o restare. Poi lei, tutta sorridente, come se svegliata da
un incubo, mi prendeva la mano dicendo “Non essere triste! Resta qui con me!”.
Il
frammento di ricordo mi emozionava e non mi parve strano che, ora, la donna
della spiaggia mi sfiorasse la mano, mi guardasse negli occhi e, sorridendo
dolcemente, mi ringraziasse. “Sono in un tremendo pasticcio, mi creda e mi
dispiace di essere stata brusca, prima. Mi aiuti, la prego. Sono ore ed ore che
sto fuggendo, non so dove rifugiarmi e in che modo salvarmi.”
Quelle
affermazioni, così spezzettate ed enfatiche, mi parvero un delirio e, mosso da
sentimenti protettivi, le poggiai il braccio sulla spalla, dicendole “Sono
Giorgio Pasquali, psichiatra, abbia fiducia in me”. Lei subito si appoggiò
tutta a me, reclinò un poco il capo, ma subito, con uno scatto improvviso, si
alzò e fuggì via. Sorpreso per l’atto imprevisto, invano la rincorsi. Riuscii
solo ad ammirare la leggerezza della sua corsa e quando raggiunsi il litorale,
lei sfrecciava via con la sua auto.
La descrizione dell'ambiente è molto suggestiva, così come le emozioni che passano dallo scrittore all'anima del lettore. Un racconto che sa di mistero e affascina.
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