Fedor Dostoevskij |
Quant’è la dimensione del male?
(Angelo Perrone) Il crimine può essere oltre ogni immaginazione, eccedente il singolo gesto, esorbitante rispetto ad ogni “plausibilità”.
Allora si mette il bene a confronto del male. Si prova a fare luce, ma spesso è buio, e prevale il grigio.
Rimane il dilemma: quale la risposta più adeguata?
Ci ha provato anche la letteratura, prima delle leggi, ad affrontare temi così traumatici senza un approdo sicuro, rendendo semmai lo scenario più complicato ed inquietante.
Quant’è innanzi tutto la dimensione del male?
Secondo Fedor Dostoevskij, la discesa agli inferi, il castigo, corrisponde al percorso tra la soffitta in cui abita Rodion Romanovich Raskolnikov e la casa in cui si trova Alena Ivanovna con sua sorella Lizaveta.
Non è molto, appena 730 passi misurati più volte durante l’immaginazione del gesto efferato. Ma la distanza è in realtà enorme.
I due punti separano l’uomo dal crimine, indicano che la libertà di lui è contrapposta all’abisso della dannazione in cui cadrà quando avrà spaccato, con un’accetta, la testa dell’odiosa usuraia.
Estremi non paragonabili però: il male futuro sarà ben oltre il delitto, reso sconfinato da solitudine e sofferenza, intriso dell’angoscia della vita, che sopravanza la responsabilità per quanto accaduto.
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