di Laura Maria Di Forti
Guido salì in camera. Flora era seduta sulla poltrona vicino al letto e stava piangendo. Appena lo vide entrare alzò il capo per poi coprirsi subito il viso con le mani e riprendere a piangere singhiozzando. Sembrava nuda in quel suo pianto dirotto, pareva che avesse l’anima esposta, il cuore aperto e dilaniato da quello che sembrava un tradimento di Guido e lo era in effetti, lo era veramente anche se era stato solo un tradimento sognato, vagheggiato con la mente, il desiderio di vivere un’altra vita, di essere un altro uomo, uno che ama la purezza di un sogno.
“Credevo di essere sicura del tuo amore, del tuo attaccamento. Credevo di averti in pugno, capisci, tra le mie mani. Finalmente avevo una cosa mia, io che mai nella vita ho posseduto qualcosa, ora grazie a te avevo tutto. Mi sentivo fiera, felice perché ero la tua modella, la tua amante, il tuo desiderio. Pensavo che non ti avrei mai perduto, che saresti rimasto innamorato di me sempre e che, sempre, mi avresti protetto, fatta sentire tua, forse un giorno persino sposata, chissà.”
Mai come in quel momento Flora era stata tanto sincera. Si rendeva conto di aver perso tutto, ogni cosa, si rendeva conto che nulla le apparteneva, che sarebbe tornata ad essere povera, una creatura misera alla ricerca di un poco di felicità. La sua bellezza, il suo corpo stupendo, il suo viso perfetto sarebbero presto divenuti preda del decadimento e cosa le sarebbe rimasto?
“Mi hai fatto credere di essere al riparo – riprese – e mi sono illusa di poter vivere con te per tutta la mia vita. Sono stata ingenua, non credi? Io, che mi sono sempre creduta una ragazza scaltra, che ho avuto la presunzione di averti nella mia rete, io ho perso. E sai perché? Perché la mia bellezza non vale nulla di fronte all’amore. L’ho compreso oggi, l’amore è la cosa più importante. E io, che pensavo di poter vivere beffandomi dell’amore, dall’amore sono stata punita e per amore io soffrirò. Come potrò vivere senza di te? Perché è vero, sai, che io ti amo. L’ho capito soltanto adesso, ho capito che perdere te sarà come morire.”
Guido la guardò con tenerezza per la prima volta da quando la conosceva. Flora era l’incanto, la bellezza, Flora era tutto, non solo il desiderio, la cupidigia, no, Flora era la sua donna, ora anche indifesa, persino tenera. Non avrebbe potuto fare a meno di Flora, di questo ne era certo.
Adele era stata solo una parentesi, un tentativo di sottrarsi da una dipendenza forse divenuta ingombrante, troppo difficile da sopportare. Alcune cose dovevano cambiare, certo.
“Adele è stata solo un sogno. Sai, quando si dorme, si crede che il sogno sia realtà, che quello che la tua mente produce sia tutto vero, sia reale, concreto e che ciò che provi sia indelebile, che la felicità sia la felicità per antonomasia e che il dolore, invece, sia il più terribile dolore che tu abbia mai provato. Ma non è così. Quando ti svegli, la realtà è un’altra e capisci, perché capisci, in definitiva, di esserti illuso, di aver creduto a delle ombre, di esserti ingannato credendo a dei fantasmi e che tutto è stato solo apparenza, immagini distorte della tua fantasia. La realtà è diversa, certo. Il sogno, se pur bello, meraviglioso, il sogno non è reale, non esiste, non ha corpo, il sogno.”
Flora si asciugò le lacrime con un fazzolettino di cotone che lei stessa aveva ricamato con le sue cifre. Aveva, da qualche mese, cominciato a mettere a frutto la sua abilità nel ricamo riempiendo con le sue cifre lenzuola e asciugamani, nel puerile tentativo di farsi un corredo e, marchiando quei capi, di darsi così l’illusione di possederli o, meglio, di averli sempre posseduti.
Guido sorrise. In fondo, scopriva solo ora la parte nascosta dell’anima di Flora, la sofferenza e la miseria patite e la speranza che la animava, la fiducia di un futuro migliore con lui. E forse era vero che si era innamorata di lui e che, alla fine di tutto, lei e solo lei era la persona adatta a lui.
Doveva abbandonare le chimere e ogni fantasia, i sogni e i miraggi, gli abbagli e tutte le illusioni che lo avevano confuso negli ultimi giorni e che non lo avrebbero fatto felice, mai. Guardare oltre la siepe, vedere la vita vera e non gli inganni della sua mente, del cuore, fantasticherie pericolose e utopie inesistenti, perché lì, davanti a lui, c’era una donna che lo avrebbe seguito sempre e della quale lui conosceva ogni tratto, ogni singolo centimetro di pelle ma anche ogni palpito, ogni sbuffo, difetto, e pregi, risa, ogni fremito e ogni inganno. Sì.
Guido sorrise. Le prese le mani e le baciò. Sarebbe sorta una nuova tenerezza da tutta quella storia, sarebbe sorto un nuovo amore, la consapevolezza di non essere soli, di avere qualcuno, su questa terra, che in fondo tiene a te, da te dipende e cerca il tuo appoggio.
“Ora sono io a tenerti tra le mie mani – le disse dolcemente – Ti ho in pugno Flora, ti ho in pugno.”
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