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lunedì 28 marzo 2022

Roberto (Essere perdenti)

di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)

(Angelo Perrone) Racconti dedicati alle emozioni. Sull’aspetto economico o quello sentimentale, nel privato o nel sociale, quali sono i riferimenti che contano? Tanti soldi, un ruolo, una bella famiglia, è facile pensare agli ingredienti classici e stereotipati, per un futuro di successo, gratificante, senza angosce.
Poi accade l’inciampo, una disgrazia improvvisa, un evento che non ti aspettavi e dal quale è difficile riprendersi. Oppure la scoperta della propria fragilità davanti all’imprevisto. Si è catapultati in un abisso. Perché sei così rabbioso, incattivito? chiedono alcuni senza sapere nulla di te, senza aver provato a scavare. Vaglielo a dire, che hai avuto paura, che si sei sentito smarrito, come un bambino al quale erano stati tolti i giocattoli o era rimasto senza amici. Una carezza, un pensiero, un’idea per risollevarti, ecco ciò di cui avresti avuto bisogno, disperatamente.
Progettare a tavolino mette tensione. Rende scontata l’immaginazione. Condiziona ciò che deve essere vissuto senza troppa costruzione. E può non essere il proprio forte farlo, quando si è ancora alla ricerca di un sogno indefinito e non si sa come procedere. Però questo è possibile dirlo. Tra mille ombre, ecco sarebbe bello condividere un po’ di più.
Marina Zinzani scava nelle pieghe delle emozioni, alcune è capitato a tutti di avvertirle.
Dopo “Sabrina" dedicato all’invidia, "Ilaria" incentrato sulla rabbia, "Rosa" (la malinconia), "Giacomo" (il senso di colpa), "Matilde" (il senso di impotenza), "Maurizio" (il rimpianto), "Alessia" (il rimuginare), "Alessandro" (la paura), "Emilia" (il risentimento), "Augusto" (l’empatia), ecco "Guido" (la preoccupazione), “Jolanda” (la contraddittorietà), “Olga” (l’abbandono), “Roberto” (l’essere perdenti)

Devi diventare qualcuno. Devi farti largo, e non sarà facile. Devi indossare guanti pesanti, per non ferirti le mani. Devi imparare a rispondere, e a non subire in silenzio. Devi alzare l’asticella ogni volta, il salto sarà sempre più alto. Devi cominciare a pensare a te, gli altri non si curano di te, soprattutto se resti indietro. Dovevi farlo, e non l’hai fatto.
Si avvicinano le feste, e sono solo. Il Natale, come ad alcuni, mi mette un po’ di malinconia. C’è qualcosa di già visto, di consueto, alla fine anche di superficiale, qualcosa che rende pesanti quei giorni in cui si mangia tanto, si fanno sorrisi a persone che durante l’anno si frequentano poco, e non si riesce a vivere niente di veramente intimo, intenso.
Sono un romantico. Forse da qui bisogna partire. Ma per fare un po’ di strada serve poco il romanticismo. Non ce l’hanno tanto neanche le donne oggi, figuriamoci un uomo, è un aspetto fuori moda, che prima o poi porta cose negative. Non ci si può permettere di essere troppo ingenui, di lasciarsi andare, di vedere realtà macchiate di rosa. Alla fine si paga, tanta ingenuità.
Mio padre me lo diceva sempre: il successo non è dei deboli. Forse intuiva una mia parte diciamo così delicata, poco propensa a combattere, a grandi progetti di vita. Mi piaceva Leopardi, figuriamoci dove va un ragazzino che ama Leopardi, che sente le proprie ansie, malinconie, visioni della vita rappresentate magistralmente, che vede nella solitudine del poeta la propria solitudine, nel suo sabato del villaggio la giornata piena di promesse, la vita piena di promesse, e poi arriva la domenica, è un’altra cosa la domenica.
Gli altri, o come funzionano le cose, rendono la domenica un senso di stagnazione, di promesse non mantenute. Figuriamoci dove potevo finire, con il mio animo crepuscolare, attento ai particolari, alla vita delle formiche anche, da piccolo guardavo la loro vita operosa, su giù, su giù, mi soffermavo sulle loro piccole gesta utili, portare una briciola, costruire la loro tana, e questo mentre i miei compagni giocavano a pallone, urlavano, erano pieni di aggressività a volte.
L’animo delicato, soprattutto in un uomo, viene scambiato per debolezza, anche per una latenza poco maschile, qualche insinuazione da giovane l’avevo subita. Poi, quando mi sono fidanzato e sposato, questa cosa è stata dimenticata. Ma rimanevo sempre un carattere debole, agli occhi degli altri. 
“Tu non ti fai valere”: credo che quella frase di mia moglie abbia rappresentato uno spartiacque, come se improvvisamente un lampo illuminasse la nostra casa, la nostra vita insieme, i miei pensieri, e apparisse davanti a me una donna che cercava l’uomo forte, magari di successo, non un impiegato che nonostante la laurea non è riuscito a farsi strada.
All’improvviso mi venivano alla mente i suoi discorsi di apprezzamento su alcuni nostri amici, “è bellissima la casa che si sono fatti, ma lui guadagna bene”, “è entrato in quello studio di avvocati, ne ha fatta di strada”. Io apparivo, pensavo di apparire ancora una volta l’uomo che non crede in se stesso, che non ha fatto abbastanza per guadagnare di più, che ha offerto alla moglie una vita normale, al di sotto delle sue attese. Un perdente.
La nostra infelicità causata dagli altri: da chi prepara per un noi un futuro che però non sarà mai radioso, da chi si aspetta la ripetizione del successo del padre, l’uomo che si è fatto da solo, modello a cui rapportarsi, modello di fronte al quale non si è mai all’altezza, grande padre e figlio che fatica, che non ha le sue convinzioni, la sua forza, la sua ambizione. 
Ecco il punto, la parola magica: l’ambizione. In nome dell’ambizione si sono sacrificati affetti, mutati caratteri, vite, sconvolto equilibri. L’ambizione è positiva come motore per arrivare a una meta, ma facilmente diventa una pretesa dagli altri, devi essere, da te mi aspetto, e anche se non te lo dico tu sai come la penso, che dovevi fare di più, che da te tutti si aspettavano di più, perché le capacità le avevi, e alla fine avresti avuto una carriera, un nome, una situazione economica decisamente migliore.
Mio padre mi ripeteva da piccolo che dovevo farmi largo, e non curarmi troppo degli altri: è rimasto deluso. Non ho fatto neanche un poco della sua carriera. In compenso ha trovato soddisfazione nel marito di mia sorella, lui di ambizione ne ha da vendere, si rassomigliano decisamente di più.
Con mia moglie è finita. Io mi sono rinchiuso in me stesso, Leopardi e i perdenti, i riflessivi, chi guarda la luna, chi non ha voglia di correre, ma di vivere intensamente secondo i propri ritmi.
Arriva il Natale, sarò dai miei genitori, mio padre adesso ha anche il nipotino in arrivo, il figlio di mia sorella, e la cosa lo riempie di orgoglio. Io di figli non ne ho avuti, neanche lì gli ho dato soddisfazione. 
Ma riesco a vedere la bellezza di un’alba, il cielo striato di arancione del tramonto, riesco ad emozionarmi con un libro, riesco a vedere il volto di un barbone. È cambiata così tanto la società, non so se serva correre per avere obiettivi materiali, che alla fine sono cose, cose che si deteriorano. 
Pochi giorni fa ho incontrato in una libreria una giovane, che aveva in mano un libro di poesie. Vorrei rivederla. Conosceva la libraia, non sarà forse difficile.

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