Testimonianze a trent’anni dalle stragi
(Angelo Perrone) Ricorre quest’anno il trentennale delle stragi di Capaci (23 giugno ’92) e via d’Amelio (19 luglio ’92): la cronaca, sedimentata nel tempo, diventa spesso poesia, è ora raccontata – con molte iniziative - in forme diverse da inchieste, saggi, testimonianze dirette.
Ci sono anche questi momenti, che servono a capire, prendere atto di un’epoca. Però non è tutto. La tragedia si trasforma spesso in elegia, oppure in epica. Sembra prevalere nei gesti di tanti una rappresentazione poetica, che non è fuga dalla realtà, piuttosto tentativo di catturarne il senso profondo, nella convinzione che il tempo non possa cancellarlo.
Opere artistiche a sfondo storico sono sempre esistite. Ma certo fa effetto vedere oggi così tanti lavori teatrali, spettacoli, opere e balletti, dedicati alle stragi in cui trovarono la morte Falcone e Borsellino, con Francesca Morvillo e gli uomini delle scorte.
Sono ferite che, nonostante il tempo, mostrano ancora tracce nel tessuto sociale e sul corpo della giustizia italiana. Proprio per questo, l’intento di artisti, poeti, scrittori non è affatto retorico o commemorativo. Prevale uno scopo diverso.
La lingua prescelta è quella della musica, del canto e delle parole recitate, per scavare nella memoria e rivelare lo sgomento provato di fronte all’attacco sanguinoso allo Stato. La trasformazione dei sentimenti di allora in altro crea immagini dall’alto valore simbolico, è dimostrazione della capacità di memoria di fronte logiche mafiose.
I lavori esaltano la stagione degli eroi senza farne un mito irraggiungibile, troppo lontano dal quotidiano, attenuano o forse esaltano l’eccezionalità delle esperienze di vita sottolineandone l’aspetto “sinfonico”, il senso di appartenenza alla collettività, l’essere parte di uno sforzo comune (colleghi, forze dell’ordine, cittadini qualsiasi), contro il crimine.
“Siamo vivi”, ancora vivi, sembra essere più di un auspicio, quasi certezza. Ammonimento per il futuro. Il tempio delle chiese, il palcoscenico dei teatri, le piazze delle città, le aule delle scuole sono la scenografia ideale di un racconto destinato a non logorarsi nel tempo, non ora che ha raggiunto questa consapevolezza: risalta ciò che tanti, non solo Falcone e Borsellino, hanno fatto da vivi per il loro Paese.
In questo tempo, divenuto all’improvviso sospeso, ma non innaturale, compaiono personaggi reali o immaginari, collegati audacemente alle stragi di mafia: sono testimoni in fuga, stranieri in patria, persone che lottano contro la schiavitù, emblemi del riscatto di tutte le vittime del male, dunque anche degli assassinati di mafia.
Le trame riflettono una preoccupazione costante. Mantenere vivo il ricordo di due figure esemplari nella lotta secolare alla mafia, tramandarlo alle nuove generazioni, fare in modo che non si disperda l’insegnamento.
Siamo tutti presenti, a impersonare il bisogno di giustizia. Lo spazio dei teatri, delle piazze e delle architetture di strada si trasforma, esplode in momenti di compartecipazione civile.
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