di Marina Zinzani
(“La large” – Françoise Hardy)
Della regina Elisabetta ci si ricorderà per tante cose: la sua longevità, i suoi 70 anni di regno, i suoi vestiti dai colori così ben definiti, con i cappelli intonati e anche bizzarri, per l’appello alla nazione durante il Covid, con il suo vestito verde e parole rassicuranti, importantissime in quel momento drammatico, per esserci sempre stata. Esserci stata da un tempo che sembrava immemore e che sembrava infinito anche per il futuro.
La sua morte ha commosso il mondo intero, e non sappiamo bene perché, forse per la sua classe, sobrietà, il sottotono in cui ha vissuto la sua vita, l’umorismo, la vivacità intellettuale. Regina suo malgrado, una vita che doveva essere ben diversa, non era destinata ad essere regina, ma lo ha fatto diventando un punto fisso ed essendo enormemente amata. Tanto che la sua morte improvvisa ha portato un’onda di commozione ovunque.
Bisognerebbe chiedersi perché, quali corde ha toccato questo evento, corde anche personali. Tutti abbiamo avuto un nonno, una nonna, e spesso è la nonna l’ultima che se ne va. E’ qualcosa di più di una mancanza, è la fine di un mondo, la fine di un’era. La fine di un tipo di donna che ha messo sempre al centro, sopra a tutto, la sua famiglia, cercando di tenere uniti i membri, essendo un fondamentale punto di riferimento.
Una nonna con le sue particolarità, con i suoi vestiti, con le sue cose che facevano sorridere. Si agganciano ed emergono tanti ricordi. Un punto di riferimento che fungeva da collante, sensazione di calore e tenerezza, mano a mano anche che gli anni passavano e quel corpo diventava sempre più fragile. Una grande nonna, una grande madre, qualcuno che c’era. Sempre.
Quando tutto questo finisce, ci si sente spaesati. E’ la vita. Si nasce, si muore, nascono dei bambini, la famiglia si allarga, gli anziani muoiono. Ma per i figli, i nipoti, perdere un caro rimane un vuoto difficilmente colmabile, impossibile anzi da colmare, è un prezzo alto che la vita impone, crudele, a cui non si è mai preparati. Si fa fatica anche a ricordare, perché il ricordo porta una malinconia insopportabile, vicina al dolore.
La regina Elisabetta è stata come una grande madre, una grande nonna per i suoi sudditi, ma non solo. E’ l’identificazione, ora, di ciò che anche noi abbiamo avuto di caro, di stabile, di cosa significhi essere al centro di una famiglia, con il sacrificio, con il lavorare in silenzio, con la presenza di una battuta, di un parere, con una bizzarria tenera.
Buon viaggio, Elisabetta. O Lilibeth, come la chiamava l’amato marito. L’umana storia di chi resta dopo una vita insieme ad una persona e piano piano anche la sua salute l’abbandona, erano in due, chi rimane diventa improvvisamente fragile.
Buon viaggio, che il volo degli angeli, come ha detto il figlio Carlo, la possa portare alla pace.
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