(Testo ripreso su Critica Liberale – Inserto Non Mollare 6.3.23)
(Angelo Perrone) «Respingere la violenza e difendere le libertà. Dobbiamo essere partigiani, non indifferenti», questo l’appello che ha ispirato la manifestazione del 3 marzo a Firenze, a difesa della scuola e della Costituzione dopo il pestaggio avvenuto il 18 febbraio presso il liceo Michelangiolo di Firenze.
Aveva fatto il giro di tv e web la notizia dell’aggressione di due studenti del liceo da parte di sei ragazzi appartenenti ad Azione studentesca, un gruppo di estrema destra, che a suo tempo fu guidato da Giorgia Meloni. Un vero e proprio episodio di squadrismo all’uscita da scuola nei confronti di studenti, forse di altra tendenza: ha suscitato allarme per la spregiudicatezza mostrata.
È stato in sé un episodio di pestaggio politico, sotto gli occhi di tutti. Poi è diventato un caso politico, dopo la lettera ai suoi studenti della preside Annalisa Savino, liceo Da Vinci, e la risposta sprezzante del ministro dell’Istruzione Valditara. La preside non si limitava a deplorare il gesto. Andava più a fondo. Segnalava la pericolosità della violenza sotto il profilo politico, è un fattore dirompente, e la storia dovrebbe insegnare qualcosa. Può fare proseliti in fretta, provocare altre condotte antisociali, incrinare le fondamenta della convivenza.
Il grande nasce sempre dal piccolo, e questo può essere talora poco appariscente. Un errore però trascurarlo o sottovalutarlo. Perciò la Savino sottolineava l’importanza della consapevolezza civile. Il silenzio nasconde la verità, impedisce di capire e di rendersi conto. L’inerzia poi aiuta il sopraffattore, gli dà campo libero per le sue scorribande.
Ricordava infatti che «il fascismo non è nato da adunanze ma ai bordi di un marciapiede qualunque con la vittima di un pestaggio lasciata a sé stessa da passanti indifferenti». Grandi e tremendi eventi possono nascere così, ai margini delle nostre città, tra le pieghe dell’esistenza, nell’inconsapevolezza dei più.
Valditara giudicava “impropria” la lettera («Non compete alla preside lanciare messaggi, non c’è alcuna deriva violenta, l’iniziativa è una politicizzazione») e minacciava provvedimenti. La politica che minimizza episodi scellerati e se la prende con chi denuncia civilmente le sopraffazioni è incapace di leggere gli eventi e di coglierne le dinamiche negative.
Gli scopi ideologici, intrinsecamente pericolosi e devastanti, non modificano il carattere della prepotenza, comunque ingiusta, ma certo l’amplificano e la diffondono. Il movente politico generalizza la sopraffazione, rendendola un modello non più solo in famiglia e nelle relazioni sociali, ma ai livelli più alti delle relazioni pubbliche. Un pericolo per la collettività.
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