Pagine

sabato 8 marzo 2025

Il senso perduto del diritto

Politica e giustizia: meno liberi ed eguali

(Altre riflessioni in Critica liberale, 4.3.25, L’intolleranza del potere)

(Angelo Perrone) Il linguaggio può essere variamente pericoloso: talvolta è esplicito, smaccatamente violento e minatorio come quello di Trump e Milei; tal altra, contiene insidie non meno gravi, osservando i fini.
Il discorso manipolatorio delle decisioni giudiziarie e della realtà, come sulla separazione delle carriere, è potente grimaldello per trasformare il volto della democrazia liberale.
L’aggressione allo Stato di diritto è condotta dall’interno, ci si serve del diritto per neutralizzarne la ragione morale e l’efficacia pratica. 
Per questo è più arduo svelare trame e insidie, comprenderne il senso, ma il passo decisivo è prenderne consapevolezza, come ribadito da più voci, anche della cultura, nei dibattiti tenuti durante lo sciopero e in altre circostanze analoghe. Intellettuali, come Tullio Piovani, Dacia Maraini, Gianrico Carofiglio, Giancarlo de Cataldo, Maurizio de Giovanni, Viola Ardone, Donatella di Pietrantonio, personaggi noti come Antonio Albanese e Monica Guerritore, hanno fatto sentire la loro voce.
Il filo rosso che lega il programma eversivo della P2 di Licio Gelli (che puntava anche sulla separazione delle carriere), le leggi ad personam dell’epoca berlusconiana, infine le proposte attuali per “stabilizzare” il potere maggioritario, risale alla svolta del congresso dell’associazione magistrati di Gardone del 1965: il giudice non vuole essere un burocrate, ma un “magistrato con l’anima”, che affronta con indipendenza la responsabilità di giudicare.
Ad un certo punto i magistrati hanno smesso di dispensare sentenze in un linguaggio criptico, comprensibile solo all’élite di tecnici. L’evoluzione linguistica ha rispecchiato un mutamento di atteggiamento nei confronti della realtà. Hanno cominciato ad interpretare le leggi e il proprio ruolo cercando assonanza alla Costituzione. In una parola, l’hanno presa davvero sul serio, la Costituzione. Questo il significato del gesto: sbandierare la Costituzione, indossando la toga, con la coccarda tricolore.
Per rispondere a Carofiglio e a tutte le sollecitazioni ascoltate nei dibattiti, pubblici e privati, è questa la strada doverosa, e vincente: la stessa che ha portato la magistratura al centro delle discussioni e dell’avversione da parte dei governi in carica, ma più vicina al cuore della gente. La comunicazione come dovere di spiegare, rendere conto di azioni e convinzioni, significa da ultimo “stare nella società” nel modo giusto. È quello che il magistrato deve fare, quando più forte soffia il vento della speculazione e della strumentalizzazione. Ed è a rischio la forma della democrazia. 
In fondo, lo ricordava uno dei padri della Costituzione, Piero Calamandrei, che era avvocato e di cultura liberale. Il ruolo sociale dei magistrati è stare nella società, garantire i princìpi affermati nella Costituzione, anche “contro” le politiche del governo di turno, se vanno in direzione opposta alla Costituzione. La risposta al tentativo di metterla in discussione, sabotarla e neutralizzarla, e ai timori sulla comunicazione, è la Costituzione stessa.

Nessun commento:

Posta un commento