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giovedì 6 marzo 2025

Parole per manipolare la realtà

Il cambiamento delle regole della convivenza

(Altre riflessioni in Critica liberale, 4.3.25, "L'intolleranza del potere")

(Angelo Perrone). Il tema della comunicazione ha attraversato anche il dibattito svoltosi il 27 febbraio a Roma in occasione dello sciopero dei magistrati contro la riforma Meloni-Nordio sulla separazione delle carriere, e le altre iniziative in proposito.
Si assiste al paradosso. Il governo usa qualsiasi evento giudiziario a pretesto, per giustificare la pericolosa riforma, nonostante incongruenze e contraddizioni.
Il rapporto tra pubblici ministeri e giudici (su cui incide la riforma Nordio quando si parla di separazione delle carriere) è citato pervicacemente anche quando privo di senso, perché le vicende ne prescindono.
È accaduto per le decisioni sull’immigrazione e sui trasferimenti di migranti in Albania (che sono del giudice civile senza intervento del pm). Oppure per i casi di dissonanza tra giudice e pm (assoluzione di Salvini per l’Open Arms, precedente assoluzione di Renzi per la Fondazione Open), allorché i fatti stessi smentiscono l’assunto governativo (erroneo) della sudditanza dei giudici verso i pm.
E così succede sulla falsificazione della realtà compiuta omettendo i dati. La percentuale complessiva di decisioni giudiziarie difformi (rispetto alle richieste del pm) è del 40%, addirittura oltre la media europea.
Insomma, esiste un divario tra realtà e narrazione governativa, e tuttavia esso può sfuggire all’opinione pubblica, o almeno così si immagina. Tanto che il governo alimenta una “vulgata” sulla giustizia intrisa di falsità interpretative. Il racconto dei mali della giustizia è alterato con distorsioni e fallacie: perfetto terreno di coltura di iniziative che hanno altri obiettivi.
Le manovre più spregiudicate possono farsi largo, trovare consensi. Il tema della difficoltà di spiegare la portata dell’iniziativa governativa risponde ad una preoccupazione diffusa.
La sintesi più efficace è quella di Gianrico Carofiglio, che, proprio perché sostenitore delle ragioni dello sciopero, esorta accoratamente: «Parlate come se spiegaste le cose ad un bimbo di 8 anni, non come fareste in un convegno».
La bizzarria è che ci si interroghi sulla comunicazione di fronte al tentativo di trasformazione radicale dei caratteri della democrazia (tra cui la separazione dei poteri) quando l’intento governativo è dichiarato, e perseguito in assonanza con altre destre nel mondo, Polonia, Israele, gli stessi Usa.
L’obiettivo è lo stesso: ridurre i controlli sulle azioni pubbliche (di ogni natura), per intolleranza verso il sistema di contrappesi legali, tipico della democrazia liberale. Si procede magari per gradi ma in ogni direzione per raggiungere lo scopo.
Altri casi sono meno noti ma ugualmente allarmanti. La riduzione di compiti e poteri investe pure la Corte dei Conti che è il giudice dei conti pubblici, cioè dei nostri soldi. Anche qui un progetto avanzato di ridimensionamento dei controlli sulla spesa pubblica.  
«Avanti», dice il governo ostinatamente. Una riforma costituzionale sull’indipendenza della magistratura avrebbe richiesto ben altro approccio: dibattiti, studi, convergenza di posizioni, ascolto del dissenso. Serietà di intenti, misura dei modi. Quelli usati dai Costituenti quasi 80 anni fa.
Eppure, il punto da chiarire è semplice e il linguaggio può fare la differenza. Per quali motivi le affermazioni del governo sono false, perché sono in pericolo i principi della convivenza nella società, perché infine la partita ha di sicuro un perdente (il cittadino comune, in un mondo di eguali) e un vincitore finale, il governante di turno, liberato da controlli e limitazioni, dopo la neutralizzazione dei controllori (gli organi di garanzia).

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